Vertice Usa-Russia, il giallo del "fraintendimento" che mina la pace in Ucraina

Un fraintendimento dell’inviato speciale alimenta dubbi sull’intesa tra Trump e Putin. Mosca non arretra: rivuole il pieno controllo di quattro regioni e della Crimea

Vertice Usa-Russia, il giallo del "fraintendimento" che mina la pace in Ucraina
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A una settimana dal vertice in Alaska tra Donald Trump e Vladimir Putin, emergono dubbi e incomprensioni sulla reale portata di un possibile accordo di pace per l’Ucraina. Secondo Bild, durante il colloquio del 6 agosto con il leader del Cremlino, l’inviato speciale statunitense Steve Witkoff avrebbe interpretato erroneamente una richiesta russa di “ritiro pacifico” delle forze ucraine da Kherson e Zaporizhzhia, scambiandola per un’offerta di Mosca a ritirare le proprie truppe da quelle stesse regioni.

Il tabloid tedesco sottolinea che la posizione russa non è cambiata: Mosca mira a ottenere il pieno controllo delle regioni di Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson – non solo delle aree già occupate – oltre alla Crimea, considerata irrinunciabile. L’unico spiraglio sarebbe un via libera a “cessate-il-fuoco settoriali” per infrastrutture strategiche o grandi città lontane dal fronte. Putin, secondo le fonti, non sarebbe disposto a fermare le offensive nemmeno in cambio della revoca della maggior parte delle sanzioni e dell’avvio di nuovi rapporti commerciali con Washington.

Alcune formulazioni ambigue provenienti da Mosca sarebbero state però lette da Witkoff come segnali di apertura. “Witkoff non sa di cosa sta parlando”, avrebbe commentato a Bild un alto funzionario ucraino, un giudizio che – secondo il quotidiano – troverebbe eco anche in ambienti governativi tedeschi. Nella teleconferenza di giovedì con i partner europei, la delegazione americana – composta da Witkoff, Marco Rubio e J.D. Vance – sarebbe apparsa “caotica e divisa”, con l’inviato ritenuto “sopraffatto e poco preparato” e con tensioni interne sul ruolo dell’Unione Europea nei negoziati. Il segretario di Stato, riferisce Bild, si sarebbe mostrato più favorevole rispetto agli altri due a mantenere aperto un canale di dialogo con Bruxelles.

La posizione russa, sancita nella Costituzione e ripetuta sin dall’inizio dell’invasione su larga scala, è politicamente e legalmente difficile da invertire. L’errata interpretazione attribuita all’inviato speciale Witkoff ha suscitato critiche a Kiev e in diverse capitali europee. Funzionari ucraini hanno definito il suo operato “poco professionale” e accusato l’emissario di aver presentato a Trump un quadro troppo ottimistico. Giovedì, una teleconferenza tra Witkoff, il segretario di Stato Marco Rubio, il vicepresidente JD Vance e rappresentanti europei ha accentuato l’impressione di disorganizzazione nella squadra negoziale USA. Secondo fonti diplomatiche, Rubio spinge per un pieno coinvolgimento dell’Europa, mentre Vance e Witkoff preferirebbero limitare la partecipazione europea a semplici briefing post-accordo.

Le frizioni interne riaccendono interrogativi sulla linea americana. Trump ha già suggerito in passato “scambi territoriali” con la Russia, proposta respinta da Zelensky e dai leader Ue. Accettare le condizioni di Mosca significherebbe, avvertono analisti ucraini, liberare risorse militari del Cremlino per nuove offensive e vincolare Kiev a un cessate-il-fuoco settoriale che potrebbe bloccare attacchi a obiettivi strategici russi senza fermare le operazioni di terra. Dal punto di vista politico, il vertice in Alaska rischia di essere percepito come una concessione simbolica a Putin – ospitato su suolo americano – senza garanzie sostanziali in cambio. Le visite a Mosca di Witkoff, stretto alleato di Trump ma privo di esperienza diplomatica, hanno già generato false aspettative in passato.

Con le posizioni di Washington, Mosca e Kiev ancora distanti, e il fronte occidentale impegnato a mantenere compatta la linea, le chance di una

svolta significativa la prossima settimana appaiono ridotte. Per Ucraina ed Europa, le priorità restano due: evitare un accordo che comprometta la sovranità del Paese invaso e la sua capacità di difendersi a lungo termine.

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