La stanza di Feltri

Il Papa e la pace fra Russia e Ucraina

Le osservazioni del pontefice a proposito della guerra che viene combattuta in Ucraina da oltre due anni sono assolutamente inoppugnabili, razionali e di buonsenso

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Direttore Feltri,
sono un suo affezionato lettore che si trova spesso d'accordo con lei. Vorrei chiederle cosa ne pensa delle parole del Papa, che si è espresso a favore della pace in riferimento alla guerra in Ucraina. Sentiamo parlare solo di armi, ora il Papa parla di pace, di negoziato, di resa, termini poco adoperati. Quest'ultima uscita del Pontefice, che avrà dato tanto fastidio a Zelensky, mi piace. E a lei?
Lorenzo Costantino

Caro Lorenzo,
le osservazioni del pontefice a proposito della guerra che viene combattuta in Ucraina da oltre due anni sono assolutamente inoppugnabili, razionali e di buonsenso. Esse arrivano dopo l'uscita disastrosa e irresponsabile del presidente Macron che qualche settimana fa ha profilato la possibilità dell'invio di truppe europee in Ucraina per combattere contro la Russia. Dichiarazioni che non hanno fatto altro che gettare benzina sul fuoco e a cui purtroppo sono seguite venerdì scorso quelle del segretario del Consiglio di sicurezza e difesa ucraina, Danilov, il quale sostiene che l'Occidente prossimamente potrebbe aiutare l'Ucraina non soltanto garantendo le armi ma anche mandando truppe.

Sarebbe un errore fatale. Le conseguenze sarebbero terribili per tutti noi.

Papa Francesco è intervenuto in questa situazione incandescente e ha invitato, in sostanza, l'Ucraina a mettere i piedi per terra, a cambiare atteggiamento, ossia ad abbandonare il miraggio di una vittoria sulla Russia e ad «avere il coraggio di alzare bandiera bianca e negoziare». Secondo il papa, non si tratterebbe di una resa, ma della realizzazione del bene dei cittadini ucraini.

Egli puntualizza: «Il negoziato non è mai una resa». Puntualizzazione enfatizzata poi dal Vaticano al fine di evitare equivoci e polemiche.

Intendo essere onesto: alzare bandiera bianca significa arrendersi, c'è poco su cui discutere. Tuttavia, caro Lorenzo, peggio della resa sai cosa c'è? C'è la sconfitta, sconfitta che sopraggiungerebbe magari più in là e chissà quando, dopo avere ulteriormente aggravato il bilancio di coloro che in questo scontro hanno perduto e stanno perdendo la vita.

Discutere di pace è atto di responsabilità verso gli unici sovrani nelle democrazie: i popoli. E non c'è Zelensky che tenga.

Ogni giorno si registrano morti e feriti ed è evidente che, proseguendo nella belligeranza, la quota di vittime lieviterà. A pagare il prezzo dei conflitti è sempre la popolazione civile. Uno statista ha anche il dovere di tutelare il popolo, non soltanto pezzetti di territorio.

Penso che la gente sia stanca di combattere, di crepare, di sopravvivere nel pericolo costante di morte, nella miseria, nella desolazione, nel terrore, che abbia voglia di risorgere, ripartire, ricostruire. E anche gli altri popoli del mondo occidentale, non solo il popolo ucraino, sono stufi di fornire sostegno militare senza che questo produca risultati tangibili.

Siamo in una situazione ormai permanente di immobilismo, di stallo, di stagnazione, le cui ripercussioni tuttavia sono terribili per tutti noi, in particolare per chi in quell'area si trova. L'intervento del papa smuove queste sabbie mobili. Mi illudo quasi che possa davvero indurci ad assumere un nuovo approccio nei confronti di questo conflitto, che fino ad oggi abbiamo inteso risolvere mediante una pioggia di armamenti e con lo stare a guardare.

È giunto il tempo di parlare più di pace che di armi, favorendo quel negoziato che, inevitabilmente, implica che entrambe le parti cedano e rinuncino a qualcosa, andando incontro ciascuna all'altra allo scopo condiviso di addivenire ad una risoluzione rapida e diplomatica che salverebbe la pelle a milioni di persone, bambini inclusi.

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