Guillam, Khan e un balletto sullo star-system

Alessandra Miccinesi

Mostri sacri a confronto. Lei è Sylvie Guillam, fulgida etoile, ospite del Royal Ballet di Londra e del Kirov di San Pietroburgo, musa ispiratrice di coreografi eccelsi come Béjart, Forsythe, Maliphant per i quali ha interpretato i grandi ruoli del repertorio classico. Lui è Akran Khan, trentaduenne frizzante danzatore originario del Bangladesh che ha il corpo incastrato tra due anime: la prima votata alle tradizioni indiane (il katak), l’altra prona alle invenzioni della scena contemporanea londinese. Insieme, Silvie e Akran, danzeranno fino a sabato sul palcoscenico del teatro Olimpico per Sacred Monsters. Si tratta di uno dei grandi eventi autunnali messi in cartellone dall’Accademia Filarmonica Romana in collaborazione con RomaEuropa Festival 2006.
Lo spettacolo di Akran Khan è una sincera e viscerale riflessione sullo status di icona oggi, compreso il fardello di negatività implicito nella parola mito, ovvero, ciò che il mostro sacro subisce a causa della sua natura contraddittoria. L’espressione «sacred monster» fu coniata nel XIX secolo per definire personaggi del calibro di Sarah Bernhardt. Di lì la nascita del moderno star system che ha portato i divi dello spettacolo a dividere oggi la scena con gli assi dello sport. In un virtuoso gioco di estremi che coreograficamente sposa le invenzioni del balletto contemporaneo alla rigidità degli idiomi classici, Akran Khan tenta l’impossibile: estrarre l’essenza terrena del mostro divinizzato il quale, fedele all’istanza di perfezione, finisce per trasformarsi in qualcosa di disumano. Dice Sylvie Guillam: «Sono una ballerina classica, ma non posso dire che la mia religione sia la tecnica o la tradizione. Il luogo dove danzo, invece, qualunque sia lo stile, è un posto sacro». Le fa eco Akran Khan: «È la dicotomia degli opposti.

Il mondo classico offre storia e tradizione, il contemporaneo è come un laboratorio della scienza foriero di scoperte e possibilità. Non riesco a stare fermo, sto sempre in movimento: mi sento come una pallina da tennis appagata solo quando è nel mezzo, sospesa sopra la rete del campo di gioco».

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