Alessia Marani
da Roma
Unassurda storia di maltrattamenti in famiglia e ripetute umiliazioni, questa volta non in un paesino sperduto o in un ambiente disagiato, ma in una famiglia di benestanti professionisti romani: medico lui, insegnante di matematica lei e quattro figli di cui uno ancora in tenera età. Un «nido» familiare trasformato in un autentico inferno dal padre e marito padrone, G. S., di 56 anni, che era arrivato persino a negare le cure alla moglie malata di tumore contribuendo allaggravarsi lento e inesorabile della malattia. Motivi per cui il tribunale di Roma ha ora rinviato luomo a giudizio per maltrattamenti, violazione degli obblighi di assistenza, lesioni personali aggravate e violenza privata. Dopo che lo scorso 18 novembre per le stesse ragioni era stato allontanato da casa. È un panorama agghiacciante quello descritto dal pm capitolino Mirella Cervadoro e dal procuratore aggiunto Maria Cordova nel capo dimputazione. «G. S. - si legge - sottoponeva a violenze fisiche e psicologiche la donna e i figli. E ha contribuito ad aggravare la malattia di lei impedendole di fare gli esami prescritti dai sanitari, sottoponendola a gravi sofferenze e umiliazioni, facendole notare, per esempio, con aria di scherno che non aveva più i capelli a seguito della chemioterapia». Non basta. Alla donna era negata qualsiasi disponibilità economica. Spesso chiusa in casa coi ragazzi («li costringeva a vivere al buio - recitano ancora i magistrati nel documento di rinvio a giudizio - con tendaggi e tapparelle sempre abbassati, privandoli delle chiavi della porta dingresso e quelle di una casa in Sicilia di proprietà della donna») alla poveretta, G. S. impediva di utilizzare lauto e di muoversi liberamente, privandola anche del suo stipendio accreditato su un conto comune ma di cui lei non aveva mai avuto libretto dassegni o carte bancomat. «La signora - continuano i giudici - doveva necessariamente rivolgersi al marito anche per le somme minime per le spese quotidiane». Ma ancora più terribile è che luomo si rifiutava addirittura di far fare a pagamento alla moglie, affetta da una grave forma di neoplasia, gli «esami radiologici richiesti dal personale medico dellIstituto Regina Elena (già negli anni 2001 e 2002) da lui ritenuti superflui, senza alcun approfondimento diagnostico». La donna fu costretta a ricorrere allaiuto di amici per pagare una Tac urgente prima di un intervento a cui venne sottoposta nellagosto del 2004. E il mancato accesso alle cure avrebbe provocato «lesioni personali gravissime, consistenti nella progressione e nellaggravamento della malattia insorta e intempestivamente diagnosticata per lopposizione di G. S., di professione medico» sottolineano Cordova e Carvadoro.
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