Tra i vincitori delle elezioni in Catalogna spunta lui, il volto nuovo dell’indipendentismo, l’uomo che per molti potrebbe regalare la separazione da Madrid. Lui è Joan Laporta che volto nuovo lo è solo per la politica, perché in realtà è conosciuto in tutto il mondo: è l’ex presidente del Barcellona, l’uomo che ha regalato Lionel Messi al calcio mondiale, il signore al quale dobbiamo la squadra più spettacolare degli ultimi vent’anni: quella che vinse tutto nel 2009 in Spagna, in Europa e nel mondo.
Laporta non guida più il club calcistico dalla scorsa estate e da allora ha cominciato a studiare il suo ingresso in politica. Ha fondato il partito indipendentista Sci che si presentava alle urne per la prima volta domenica e al suo esordio ha ottenuto il 3,3%, ovvero quattro parlamentari. Uno è proprio Joan, 48enne che di professione fa l’avvocato e per passione incendia il cuore di una regione che spesso s’infiamma con poco. Laporta lo sa perché lui e la Catalogna sono la stessa cosa. Quando era presidente del Barcellona parlava così: «I Blaugrana incarnano l’epica che guida alla libertà dei popoli sottomessi».
Lui, in realtà, sottomesso non lo è mai stato. La sua vita è piuttosto quella del vincente predestinato: avvocato di successo, un sorriso smagliante, la fama del playboy (comprese alcune voci di relazioni più o meno fugaci con showgirl italiane), la vittoria alle elezioni per la presidenza del Barcellona e poi la conferma per il secondo mandato. Dalla poltroncina del Camp Nou, Laporta ha costruito il resto della sua fortuna: Champions, Liga, Copa del Rey, Supercoppa d’Europa, Coppa di Spagna e il Mundial dei club. Sei titoli, ovvero tutto il possibile. E con questi titoli la costruzione di una squadra che è passata dai piedi di Ronaldinho, Eto’o, Messi, Henry, Xavi, Puyol, Ibrahimovic e molti altri. Joan, che tutti gli amici chiamano Jan, è conosciuto in molti ambienti di Barcellona con il nomignolo di «Chico Martini» per la sua passione per i cocktail nei locali notturni. Il gossip che lo circonda parla anche dell’amore per le Maserati e per i vestiti Armani.
La politica è entrata nelle sua vita come naturale conseguenza dell’esperienza alla presidenza del Barcellona, quello che per tutti in Catalogna non è solo un club di calcio, ma è molto di più. «Mas que un club», dice lo slogan del Barça e sintetizza perfettamente il concetto. Perché fin dai tempi della dittatura franchista, quando i catalani andavano al Camp Nou, lo facevano per guardare una partita di calcio, ma soprattutto per parlare liberamente la loro lingua e urlare contro la squadra amata dal tiranno,l’odiato Real Madrid. All’epoca delle prima voci su una sua possibile candidatura Laporta la pensava così: «Il club è sempre stato un modo di difendere gli interessi e le libertà della Catalogna. Siamo una nazione e ci serve uno Stato». Adesso che s’è candidato, adesso che ha un seggio suo e altri poi altri tre, può cominciare a studiare dall’interno come fare a darglielo questo Stato.
Perché l’obiettivo è questo e nessuno glielo toglierà dalla testa: l’indipendenza della Catalogna, la separazione dalla Castiglia e da tutto il resto.Perché non basta l’autonomismo più forte d’Europa a una terra che non s’è mai sentita parte di un Paese che non fosse soltanto la sua regione. Nelle trattative per la creazione del suo partito, Laporta ha parlato con tutti: soprattutto con la sinistra, alla quale nulla lo lega, ma che poteva essere il traino verso il successo.
Poi per far capire che cosa pensasse del futuro della Catalogna raccontò il suo viaggio in Scozia, al seguito della squadra sì, ma soprattutto per rendere omaggio all’eroe dell'indipendenza locale Wallace. Wallace è il martire della Scozia, Laporta vuol essere l’eroe di Barcellona. «Ancora non so se la Catalogna vuole un leader o un martire. Io non voglio essere un martire ma sì che posso essere un leader».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.