Ha ucciso 2 banditi, arrestato il vigilante

Ha sparato mentre sua figlia stava per nascere. Questione di ore. Ma non ha potuto vederla, ne starle accanto quando la moglie, alle 11 di ieri mattina, lo ha reso padre. Lui, Mauro Pelella, il vigilantes trentaquattrenne che qualche ora prima aveva freddato due rapinatori, era già in carcere. Accusato di duplice omicidio.
Quindici colpi esplosi dalla sua Beretta calibro 9, l’intero caricatore, contro due rapinatori incrociati per caso. E soprattutto in fuga.
Quinzano, seimilacinquecento abitanti lontani 30 chilometri da Brescia, all’indomani si scopre paesello diviso. Giusto o sbagliato quell’inferno di fuoco? Due cadaveri disarmati (o meglio, armati di taglierino...), sull’asfalto, un terzo bandito ferito e poi catturato. Era necessario? È stato giusto? Secondo la procura di Brescia no: evidente la «sproporzione tra azione e reazione».
Il linguaggio tecnico del procuratore Nicola Maria Pace, dice che «il luogo della sparatoria parla: la sequenza di bossoli repertati fa pensare a una progressione, non a una legittima difesa, né a una contestualità». Le manette per duplice omicidio volontario sono dunque scattate non essendosi verificate, a dire dell’accusa, le condizioni di uso legittimo dell’arma e tantomeno quelle della legittima difesa.
Lo sceriffo della «Fidelitas» sostiene che i rapinatori in fuga avessero tentato di investirlo, peccato che lui nemmeno lavorasse per la banca appena svaligiata, la Cassa rurale e artigiana di via Cavour. Era lì su un furgone blindato con un collega dopo aver appena consegnato del denaro alla vicina Ubi Banca. Ma ha assistito alla scena. Quella che poi si è trasformata in una bagno di sangue. E che adesso divide le coscienze. Senso del dovere, eccesso di zelo, rabbia e voglia di giustizia? O forse tutti i sentimenti racchiusi in un unico istante?
«Dispiace certo dal punto di vista umano per i rapinatori morti. Ma dispiace anche per la decisione della Procura che ha arrestato il vigilante», prova a spiegare oggi il sindaco Maurizio Franzini.
«Quell’uomo si è sentito in dovere di intervenire, la gente è con lui». «La mia preoccupazione era che la popolazione non venisse coinvolta: l’auto dei banditi si è schiantata contro il muro della scuola media, proprio in orario di lezione alle elementari e all’asilo vicini. Poteva accadere di tutto. I miei compaesani sono esasperati e la compassione mi accorgo non esiste più».
Il procuratore Nicola Maria Pace, l’ha pensata diversamente dopo una notte di interrogatori. Secondo lui, nella fattispecie, non è ricorsa nemmeno la circostanza dell’uso «giusto» dell’arma: «La legittimità un tempo era appannaggio solo dei pubblici ufficiali, di recente invece è stata estesa anche ad altre categorie. In ogni caso serve una contestualità tra azione e reazione che in questo caso è mancata».
Somiglia un poco, questa storia, al caso del tabaccaio di Milano, accusato di aver freddato uno dei banditi che lo avevano appena rapinato ferendo il complice. Entrambi stavano scappando. Qualche giorno fa è stato assolto, a dispetto delle richieste di carcere dell’accusa: legittima difesa putativa ha sentenziato la Corte.
«Basta a questo eccesso di garantismo nei confronti dei delinquenti. Si diano un po’ di garanzie anche ai cittadini onesti», commenta Antonio Petrali, uno dei figli del commerciante, ora candidato alle elezioni comunali nelle liste della Lega Nord.
Difendere il vigilante dal grilletto facile stavolta risulta difficile persino ai colleghi sindacalisti. Che scaricano non pallottole ma responsabilità: «Una guardia giurata fa 40 ore di formazione, poi ha il porto d’armi e può utilizzare uno pistola», attacca Alberto Pluda, della Fisascat Cisl.

Una direttiva europea ha equiparato la nostra figura a quella di incaricato di pubblico servizio. Ma non è mai stato fatto un regolamento, però che indichi che cosa si può o non si può fare». Forse stavolta lo sceriffo ha fatto troppo.

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