Gian Micalessin
Lotto e mezzo è già finito. Ma non è stato un film. È stata unagonia in cui lillusione di poter governare da soli ha bruciato le illusioni fondamentaliste e annientato le residue capacità di resistenza del popolo palestinese. Otto mesi e mezzo dopo la vittoria di Hamas trasformatasi in nuova nakba, nuovo disastro collettivo, si ricomincia. Ismail Hanyeh ieri ha ceduto. Ha detto di sì a Abu Mazen. Ha accettato di dar vita a un nuovo governo. Ha messo da parte le ultime esitazioni e ha sputato un mezzo sì anche a un possibile riconoscimento dIsraele. Certo a parole è ancora un «no» grande e irremovibile. «Hamas continuerà a rispettare il proprio programma: non riconosceremo la legittimità delloccupante», ripetevano ieri Sami Abu Zuhri e gli altri portavoce fondamentalisti.
Ma una diversa verità stava già sommergendo le loro parole. Quando nelle prossime 24 ore Abu Mazen darà il colpo di grazia allattuale esecutivo e chiederà ad Hanyeh di dar vita al nuovo governo di coalizione, il premier designato non potrà più far riferimento solo allo statuto di Hamas. Dovrà, dintesa con il presidente, formare un governo pronto ad agire in conformità con il piano di pace approvato a Beirut nel 2002 dai Paesi arabi e con il documento stilato in un carcere israeliano, la scorsa primavera, dal segretario generale di Fatah Marwan Barghouti assieme ai galeotti più illustri di Hamas.
Il piano arabo, ispirato dallattuale sovrano saudita Abdallah, e quello delle prigioni firmato da Barghouti sono basati su un machiavellismo comune. Entrambi sono stati scritti per far digerire surrettiziamente lidea del riconoscimento dIsraele ai governi arabi più intransigenti e allopinione pubblica più radicale. Ora bisogna vedere se messi assieme riusciranno a salvare i palestinesi, tirandoli fuori dalle secche in cui li ha affondati lotto e mezzo di Hamas. Ma a deciderlo non saranno né il presidente Abu Mazen (Mahmoud Abbas), né il premier Ismail Hanyeh. A deciderlo saranno prima i fatti e, poi, i giudizi della comunità internazionale e di Israele. La formazione di un governo dunità nazionale garantito da qualche ministro di Fatah a fianco di quelli di Hamas non ancora in prigione da solo cambierebbe assai poco. Sia gli Stati Uniti sia lEuropa, prima di ridare ossigeno alleconomia palestinese pompando nelle esauste casse del governo gli aiuti bloccati la scorsa primavera, vorranno veder rispettate le tre condizioni già richieste più volte al governo di Hanyeh. Oltre al surrettizio riconoscimento dIsraele garantito dai due documenti piattaforma, vorranno vedere Hamas rinunciare alla lotta armata e accettare tutti i precedenti atti siglati dallAutorità palestinese.
Mentre il riconoscimento di tutti gli accordi siglati in passato dallAnp è, in parte, conseguenza delle assunzioni contenute nel programma del governo di unità nazionale la questione del disarmo è ben più complessa. La comunità internazionale può anche accontentarsi di un formale impegno ad accasare le milizie, ma Israele vuole e pretende un disarmo vero. E non solo. Prima ancora di una rinuncia alla violenza vuole vedere tornare a casa, sano e salvo, quel caporale Gilad Shalit caduto nelle mani dei militanti di Hamas a fine giugno. Lidea di un esecutivo dunità nazionale legato, inevitabilmente, anche alle decisioni dellala militare di Hamas e della per ora silenziosa dirigenza in esilio non è da questo punto di vista incoraggiante.
Limpossibilità di Hanyeh di esaudire le promesse fatte ad Abbas e convenute con gli israeliani rischierà di bloccare qualsiasi nuovo negoziato.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.