nostro inviato a Montmeló
Non ha età Lewis Hamilton. Potrebbe avere i ventidue anni che dichiara, ma anche ottanta, tanto è maturo e saggio; e potrebbe averne trenta tanto è serenamente soddisfatto di quanto sta facendo. Lewis dimostra persino dieci anni quando s'illumina e confida il suo problema, l'unico problema fin qui avuto da quando corre in formula uno. Un problema, lo capirete, quasi insormontabile: la playstation. Sì, la console dei video game, quella che usa con il fratello a casa: in giro non si trova ancora la versione 2007 del gioco a trecento all'ora. «Per cui, quando ci sfidiamo in famiglia, scelgo sempre la McLaren, ci mancherebbe, però mi tocca usare il nome di Kimi Raikkonen. Non vedo l'ora di trovare la nuova versione e vedere la mia monoposto con scritto sopra Lewis Hamilton. Insomma, vorrei essere me stesso».
Non ha età Lewis, e questa è la sua forza, la sua ricetta per mandare in crisi gli assi del Circus. Il Tiger Woods dei motori sa essere bambino e al tempo stesso pilota maturo e preparato che sa di storia delle corse, che non ti guarda con un «boh» cubitale stampato in fronte come faceva Schumi agli esordi e come fa ancora Kimi Raikkonen quando gli domandano di Fittipaldi o Jim Clark.
Lewis, quando ha scoperto la formula uno?
«Avevo cinque anni, guardando i gp in tv con mio padre. Ricordo quelle due auto bianche e rosse che correvano e vincevano. Per questo ho sempre tifato McLaren».
C'era un signore di nome Ayrton Senna su una di quelle due monoposto.
«Già, Ayrton. So tutto di lui: ricordo le sue corse. Quando vado in visita alla sede della McLaren, ed entro nel museo, vedo le monoposto del passato e mi emozionano più quelle vecchie delle recenti».
Ma era un bambino quando correva il grande brasiliano.
«Sì, però ho letto tanti libri su di lui, ho guardato i0 suoi video, le immagini delle sue gare. Ho anche studiato il modo in cui parlava, ho cercato di imparare».
Domani (oggi, ndr) arriva Michael Schumacher.
S'illumina. «Ma per davvero? E viene qui?».
Sì, che cosa rappresenta per lei Schumi?
«Come Senna, ritengo Michael un grandissimo pilota, un uomo a cui ispirarsi. Trovo meraviglioso il modo in cui è riuscito a unire e amalgamare la squadra attorno a sé. Mi piacerebbe, un giorno, riuscire a fare altrettanto».
E la Ferrari che cos'è per lei?
«Un team speciale. Ma non più speciale della McLaren».
Tre gare, tre podi e la vetta del mondiale in coabitazione con Raikkonen e Alonso, suo compagno di squadra e due volte campione del mondo. Difficile tenere i piedi per terra?
«Francamente sì. Anche perché ricordo lo scorso anno, quando correvo in Gp2 (la formula d'accesso al Circus, ndr) e, nel paddock, osservavo Alonso, guardavo Raikkonen e pensavo. Pensavo che un giorno avrei voluto trovarmi qui».
La cosa che l'ha sorpresa di più al suo ritorno a casa? In fondo, è partito come un debuttante con tante speranze e dopo un mese e tre Gp è tornato da leader del mondiale. L'unico ad esserci riuscito nella storia della F1.
«Ovviamente la pressione di giornali e tv. Quando sono arrivato a casa, ho visto tutta quelle gente attorno, tutti quei fotografi. Mi sono sentito prigioniero».
Ha studiato la storia della F1, s'ispira a Senna e Schumi, però come diavolo passa i suoi sabato sera?
«Con i miei, in famiglia. In generale, appena posso preferisco starmene a casa con mio fratello (Nicolas è disabile, ndr) e guardare assieme la tv, Csi Miami ad esempio».
Però ha solo 22 anni, e fare le ore piccole?
«Certo, però alla fine, fare tardi, le 3, le 4 del mattino in quei locali affollati e pieni di fumo non mi piace un granché, preferisco stare a casa».
Superstizioso?
«No, pensare certe cose lo trovo negativo».
E domenica, come affronterà il Gp di Spagna? In Bahrein ha detto che si sente a tutti gli effetti in lotta per il titolo, anche se ha per compagno Fernando Alonso...
«Avrò lo stesso approccio tenuto nelle prime tre gare: ho solo un po' più d'esperienza che mi permetterà di essere più tranquillo. Però mi piace imparare. E soprattutto ho voglia di vincere».
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