«Hanno impiegato un ordigno sofisticato»

«Le autorità irachene vogliono continuare a collaborare con l’Italia»

«Hanno impiegato un ordigno sofisticato»

Fausto Biloslavo

Il ricordo personale dei caduti, il blindato carbonizzato all’interno, l’ombra di un terrorismo sempre più sofisticato e di matrice straniera, gli iracheni che vogliono continuare a collaborare con l’Italia sono i passaggi salienti dell’intervista al generale Natalino Madeddu. Cinquant’anni, comandante della brigata meccanizzata Sassari, ha la reponsabilità di 2.600 soldati italiani impiegati nella missione in Irak.
Conosceva personalmente qualcuno dei caduti?
«Il capitano della Folgore, Nicola Ciardelli, lo ricordo bene perché l’ho ricevuto io quando è arrivato. È il nipote del colonnello Renato Perrotti, il mio vicecomandante, che giovedì, appena sentita la notizia dell’attentato, ha voluto subito andare sul posto. Quello che mi rimarrà impresso del capitano Ciardelli è la dedizione per il suo compito al Pjoc (la centrale operativa irachena dove si stava recando il convoglio attaccato nda). Rientrava spesso tardi alla base e talvolta la mensa era già chiusa, ma non ci badava se saltava il pasto, perché era appassionato del suo lavoro. Un po’ come tutti i giovani papà era orgoglioso di suo figlio neonato e ne parlava al futuro, della vita che li aspettava».
Come hanno reagito gli iracheni al grave attentato contro i soldati italiani?
«La popolazione era sbigottita e il governatore Aziz Khadom Alwan ha ribadito ai nostri vertici militari che queste forme di terrorismo non provengono dall’Irak. Poi ha concluso con una frase significativa: “I morti italiani sono caduti per la provincia di Dhi Qar e quindi li sentiamo come nostri figli”».
Le autorità irachene vogliono il ritiro del contingente?
«Le autorità locali chiedono di poter continuare a collaborare con l’Italia. Nelle forme più opportune, come il Prt, il team civile di ricostruzione provinciale che si sta predisponendo, ma sempre con il nostro Paese».
Si è recato sul luogo dell’attentato?
«Sì, e appena arrivato diversi agenti iracheni volevano avvicinarsi per farmi le condoglianze».
Cosa è successo al blindato colpito?
«In questi casi si crea una forte combustione all’interno del veicolo e un effetto di depressione, perché l’ossigeno viene bruciato rapidamente».
Conferma l’utilizzo di un ordigno più sofisticato del solito?
«Non posso escludere che sia stato impiegato un ordigno a carica cava e che fosse presente pure un sistema a infrarosso. Questo fatto rappresenta una sosfisticazione inusuale per la provincia di Dhi Qar. Dev’essere stato impiegato per l’occasione qualcuno abbastanza esperto, che probabilmente veniva da fuori».
Intende proveniente da un’altra provincia o da un altro Paese?
«Non possiamo escludere che l’attentato abbia richiesto l’impiego di personale terrorista non iracheno con capacità specifiche».
L’intelligence ha segnalato infiltrazioni di agenti iraniani nella provincia di Dhi Qar?
«È probabile che ci sia questo genere di infiltrazioni, ma direi che la presenza iraniana non risulta rilevante al fine dell’attentato».
La pista più attendibile porta a terroristi sunniti o sciiti?
«Si sta analizzando il linguaggio della doppia rivendicazione. Non escludiamo gli estremisti sunniti, ma in zona sono presenti anche delle schegge impazzite del movimento sciita di Moqtada Al Sadr».
I poliziotti iracheni che controllano la zona dell’attentato, come hanno fatto a non accorgersi che veniva piazzato un ordigno?
«In effetti ci siamo posti subito questo interrogativo. Abbiamo chiesto alle autorità irachene un esame attento dei turni di servizio. In particolare va analizzato come il personale abbia svolto la sua attività di controllo, durante il turno notturno e della prima mattina. Spesso segnaliamo agli iracheni che bisogna fare maggiore attenzione e per questo motivo eseguiamo ispezioni ai posti di blocco».
Perché un attacco letale adesso, dopo che è stato annunciato il ritiro del contingente entro la fine dell’anno?
«È un po’ strano, ma bisogna tener conto dell’effervescenza locale per la crisi di governo irachena, che ha visto il cambio del candidato premier da Ibrahim Al Jaafari (molto disponibile nei confronti degli esremisti di Sadr, nda) a Jawad Al Maliki (che vuole sciogliere le milizie, nda).

Inoltre le autorità della provincia di Dhi Qar sono molto vicine agli italiani e questo fatto viene visto con fastidio da chi punta alla destabilizzazione. Infine da queste parti stanno molto attenti a quello che succede a casa nostra, compresi i risultati delle elezioni».

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