Heineken e Gods, ecco i Festival dei quarantenni

Paolo Giordano

da Bologna

Bei tempi quando in platea c’erano i liceali di nascosto dalla mamma. Ora invece ci sono mamme e papà e per i liceali la musica è solo download, streamin’ od orribili suonerie sui cellulari. Succede, mica c’è da scandalizzarsi.
Contabilità alla mano, è stato il fine settimana del rock della mezza età, l’unico ancora capace di fare grandi numeri se non grande qualità. Quarantamila persone sabato sera per i Rem che all’Heineken Jammin’ Festival di Imola hanno parlato del «Paese confuso che si chiama Stati Uniti d’America», con una musica tra Byrds, Beach Boys, Crosby Stills and Nash (il più giovane ha sessant’anni) cantata da un Michael Stipe truccato come Peter Gabriel quando i Genesis non avevano neppure la patente di guida. Ieri erano in venticinquemila sotto il palco degli Oasis, che sono i pivelli del bigoncio e va bene, ma se non si ispirano ai Beatles allora copiano i Rolling Stones (vedasi il singolo Lyla) e non hanno neppure un messaggino no global da lanciare per farsi belli. (E lasciamo perdere Vasco, che venerdì ha fatto un pienone da centoventimila: Vasco parla a grandi e piccini, a chi vorrebbe ancora vivere come lui e a chi vivrà come lui, potenza di un poeta). Pochi chilometri più in là, al Gods of Metal di Bologna, in scena c’erano gli Iron Maiden, che si sono formati a Londra alla fine degli anni Settanta, che erano il gruppo preferito di Tony Blair quando andava, appunto, al liceo e suonava la chitarra. Sabato sera, senza cd in promozione senza tivù al seguito senza benedizioni intellettuali, questi cinque inglesi hanno calamitato trentamila persone per suonare Running Free o The number of the beast o Hallowed be thy name allo stesso modo di quando Tony Blair faceva l’attivista lab contro Margaret Thatcher: svisando con le chitarre (Adrian Smith meglio di Dave Murray), urlando con la voce, picchiando sulla batteria nel solito rito catartico che poi lascia tornare tutti soddisfatti a casa.
E poi i losangelini Motley Crue: ventimila ieri sera davanti a loro. Per chi non ascolta musica, sono il gruppo dell’ex fidanzato di Pamela Anderson, ossia di Tommy Lee, ossia dell’attore del primo filmino semiporno spacciato a tradimento su Internet (quello di Paris Hilton è venuto dopo). Per chi invece ascolta rock, i Motley Crue sono quel gruppo esagerato che nel 1989 diceva: «I Rolling Stones non hanno mai avuto un disco primo in classifica in America e noi invece sì», ma dopo due anni si erano già separati a colpi di avvocati.

A Bologna sono arrivati a sei anni dall’ultimo scioglimento, erano un po’ stravolti (atterraggio alle cinque del mattino dalla Svezia con aereo privato) ma nessuno se ne è accorto. Il loro compito, dopotutto, è sempre quello di fare i ministri di un rito collettivo, quello dell’euforia rock, che è intenso come il solito ma sta ancora aspettando di fare il lifting per abbassarsi l’età.

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