Helfgott: "Quando suono racconto le visioni della mia musica"

Al Blue Note di New York il pianista australiano, raccontato in Shine, ha inaugurato il tour che lo porterà stasera all'Auditorium di Roma e tra qualche giorno a Milano

Helfgott: "Quando suono racconto 
le visioni della mia musica"

New York - Lui ti parla in rima. E ti ripete tutti i suoi concetti tre volte: enjoy, enjoy, enjoy. Divertiti. Quando ti guarda, David Helfgott ha gli occhi dolci che gli occhiali spessi deformano ma non cambiano. È che ti guarda ma non ti vede, la sua vita è la musica e lo ha dimostrato anche l’altra sera qui al Blue Note, nel club jazz più importante del mondo che per una notte ha risuonato di Chopin e di Bach. «Per me è un privilegio essere qui» spiega, sfuggendo alla regola della rima. Mancava Rachmaninov, certo. E non c’erano neanche le luci delle telecamere, né un regista o un truccatore. Insomma, il Blue Note non era il set di Shine, il film di Scott Hicks che nel 1996 ha raccontato la vita dell’australiano David Helfgott e ha consegnato un Oscar per la migliore interpretazione a Geoffrey Rush. «È stato perfetto – dice ora il pianista – e io e lui siamo quasi fratelli». C’è una dolcezza pura nel suo sguardo. David Helfgott è uno dei migliori pianisti del mondo, «un genio e un fenomeno allo stesso tempo», come ha scritto un giornale qualche tempo fa. Ma è stato devastato dalla sua sensibilità e da un padre-padrone, scampato ad Auschwitz ma non alla follia. Se guardate il film, che tra poco esce di nuovo in dvd allegato al cd Pianissimo (edito da Edel grazie all’interessamento della agile Fly Entertainment di Mirko Zeppelini), sarà facile capire perché, ad ogni esecuzione, David Helfgott si alza e va a stringere le mani degli spettatori in prima fila. Perché cerca il sorriso, il calore, l’amore della gente anche avvicinandosi, anche cercando il contatto fisico per sentire fino in fondo quella presenza vicino a lui. Enjoy, enjoy, enjoy. Divertitevi. Il padre era un gendarme lontano, freddo, impalpabile tranne quando lo picchiava. Qualcuno, pensate ai soliti critici di musica classica così rigidi e tromboni, ha detto che, quando suona, questo fenomenale pianista «non è abbastanza preciso». Lui risponde dicendo che «se tu fai felice una persona, sei riuscito a raggiungere ciò che la musica ti chiede». E sarà per questo che, mentre qui al Blue Note suona i preludi 2, 5 e 12 di Bach oppure la Ballata di Chopin, lo senti parlare mentre le dita delle sue belle mani corrono felici sulla tastiera. Parla. Canta. Scuote la testa. Sussurra. Geme. «Racconto le immagini che vedo mentre suono» dirà poi. E nella Sonata di Listz le scene che descrive sono quelle di un piacere immenso, gioioso, sottolineato dal capo che va su e giù fino a sfiorare i tasti.

Fermati, David.

Quando era un bambino, Helfgott, che aveva imparato a suonare grazie alla disciplina spartana del padre, fu affidato a un’allieva di Bartok (Alice Carrad, che però nel film diventa inspiegabilmente un uomo). Vince premi a cascata, e di lui si accorgono anche Daniel Barenboim e Julius Katchen e Isaac Stern. Ma c’è il padre, che non può accettare che il giocattolo diventi grande e gli impedisce di trasferirsi in America a studiare.

No, tu stai qui, David.

E lo picchia. Quando, qualche tempo dopo nel 1966 a diciannove anni, Helfgott arriva finalmente dal maestro Cyril Smith al Royal College of Music di Londra, è già psicologicamente devastato. E dopo un’esibizione («non durante, come si vede nel film», precisa lui) arriva il crollo. «Non potrei mai svenire durante un concerto, è troppo grande la gioia che mi dà la musica». Aveva suonato il Terzo concerto per piano di Rachmaninov, difficilissimo, un concerto così faticoso che, dicono, equivale a spostare 70 tonnellate di metallo. Non si rialza più. Torna a Melbourne, entra in una clinica psichiatrica, dove starà per dieci anni. Elettroshock. Niente pianoforte. Isolato da tutti. Si riprenderà all’inizio degli anni ’80 dopo aver incontrato Gillian, una donna straordinaria che oggi è tutto per lui: la sua assistente, la sua voce, la sua mamma, il suo calore. «Il nostro è un amore bellissimo» spiega lei, che ha 16 anni più di lui e che ha scritto in un libro (David & Gillian, una storia d’amore, che sarà pubblicato da Fly Edizioni) quanto è puro il legame che li unisce.

Li vedrete insieme anche stasera all’Auditorium Conciliazione di Roma e il 19 (già esaurito) e 20 aprile (biglietti su www.flyconcert.com) alla Chiesa di San Carlo a Bresso, vicino a Milano. Lei lo introdurrà sul palco, lui suonerà in modo inarrivabile. Insieme sono la coppia più bella del mondo perché tutto il resto viene dopo.

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