Hezbollah: «Per mediare vogliamo l’Italia»

Nasrallah: «Non accetteremo clausole umilianti. Stiamo entrando in una fase nuova del conflitto»

Luciano Gulli

nostro inviato a Beirut

«Vi ricordate la partita dell'Italia contro la Francia? Ecco, in Libano è successa un po' la stessa cosa. Gli Hezbollah nella parte di Materazzi, e Israele in quella di Zidane. Materazzi ha provocato. Però la reazione di Zidane è stata esagerata». Nabih Berri, vecchia volpe della politica libanese, capo del movimento sciita Amal nonché presidente del Parlamento, faceva il tifo per l'Italia, ai Mondiali. E la metafora calcistica, trovandosi di fronte a un gruppo di giornalisti italiani, gli pare quella più azzeccata per definire, con l'incisività di un aforisma, gli eventi delle ultime due settimane. «L'unica differenza - aggiunge sorridendo - è che nella partita di calcio c'era un arbitro che ha sanzionato Zidane col cartellino rosso e lo ha espulso. Qui invece nessuno sanziona Israele, che rimane sempre impunita».
Berri, che Hezbollah ha indicato nei giorni scorsi come possibile negoziatore per uno scambio di prigionieri fra Libano e Israele, sceglie quest'occasione per investire l'Italia del ruolo di possibile negoziatrice nel conflitto. «Tra un'ora, un giorno, una settimana, siamo pronti per una mediazione italiana. Basta che ci sia un ok per il cessate il fuoco, e lo scambio dei prigionieri (Hezbollah detiene due soldati israeliani dal 12 luglio scorso, ndr) sarà cosa fatta».
È uno dei paradossi di questo Paese diviso tra 18 comunità religiose (solo quelle islamiche sono quattro) 13 chiese e una comunità ebraica. Solo qui, in questo calderone che bolle da decenni poteva accadere che il presidente del Parlamento godesse della fiducia, ricambiata, dei fondamentalisti che il governo ufficialmente condanna. La sua proposta, vista l'autorevolezza del personaggio, non è di quelle da far cadere.
Tre giorni fa, Berri aveva incontrato il segretario di Stato americano Condoleezza Rice, definendo «inaccettabile» la sua ricetta per una soluzione della crisi: rilascio unilaterale dei prigionieri israeliani, ritiro di Hezbollah a venti chilometri dal confine e il dispiegamento di una forza di interposizione formata dall'esercito libanese e da forze internazionali.
A gettare benzina sul fuoco, vanificando in qualche modo le proposte concilianti di Berri, ecco però spuntare il capo supremo del Partito di Dio, Sayedd Hassan Nasrallah, che dal suo rifugio segreto respinge ogni «umiliante condizione» per un cessate il fuoco e torna a minacciare Israele alludendo apertamente alla capacità dei suoi guerriglieri di colpire «ben oltre Haifa».
L'uomo più ricercato del Medio Oriente è tornato l'altra sera ad esibirsi dagli schermi della Tv Al Manar, irridendo apertamente gli israeliani e i loro non invincibili e forse troppo mitizzati servizi segreti. Alle spalle, emblematicamente, la bandiera libanese (come se parlasse a nome di tutta la nazione) e il giallo stendardo del suo partito.
Per lo sceicco, la visita del segretario di Stato Usa è stata solo una provocazione. «Ha portato solo dei diktat americano-sionisti, e non ha proposto alcuna vera soluzione al conflitto». Quanto alla capacità militare degli Hezbollah, che lo sceicco definisce sostanzialmente intatta nonostante le due settimane di guerra, «il mondo si accorgerà presto che siamo entrati in una nuova fase. I nostri bombardamenti non saranno limitati solo ad Haifa. Se gli attacchi contro il nostro territorio si svilupperanno, sceglieremo il momento per rispondere. A tempo e luogo, colpiremo ben oltre Haifa».
La «pax americana», ovvero un Medio Oriente asservito agli interessi Usa non prevarrà, sostiene lo sceicco che cita Hezbollah, la resistenza palestinese, nonché la Siria e l'Iran, come insormontabili baluardi. La cosa importante, è che il Libano resti «fermo e unito», ribadisce Nasrallah.


Prevedibile, infine, la risposta dell'ambasciata iraniana a Beirut, accusata dalla stampa israeliana di nascondere lo sceicco. «Accuse menzognere destinate a sviare l'opinione pubblica nazionale e internazionale dai terribili crimini di Israele contro zone abitate da civili innocenti», è stata la secca replica.

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