Laura Novelli
«Quello che vè di prodigioso nel Don Chisciotte è la perpetua fusione dellillusione e della realtà, che fa di questo un libro tanto comico e tanto poetico». Nelle parole di Gustave Flaubert risuona quella vocazione allutopia che Maurizio Scaparro rincorre da sempre. Oltre venti anni fa il celebre regista romano allestì, infatti, il romanzo di Cervantes in uno spettacolo che ha fatto il giro del mondo, riscuotendo ovunque grande successo.
Adesso, dopo aver diretto lavori tesi a sottolineare con garbato «allarmismo» il valore insostituibile della cultura e del teatro, Scaparro si riaccosta alla moderna epopea del cavaliere errante in una nuova lettura scenica che vuole essere solo in parte una ripresa della precedente. Non fosse altro perché, a prescindere dallimmutata bellezza del testo, sono cambiati i tempi, è cambiato il teatro, è cambiata - soprattutto - laspettativa personale e collettiva rispetto proprio a quellastrazione utopica che accomuna gli artisti, i poeti, gli spiriti illuminati di ogni tempo.
Tanto che qui linguaribile idealismo del protagonista - interpretato ancora una volta da un vibrante Pino Micol - sembra assumere, allinterno di un disegno metateatrale e carnevalesco quanto mai allusivo, il senso di una protesta contro il grigio pragmatismo di chi invece sognare non sa. Lallestimento, su adattamento di Rafael Azcona, Tullio Kezich e lo stesso Scaparro, è ambientato in un teatro in disuso di cui restano solo due praticabili di legno malconci, ancora in grado però di suscitare effetti e magie (firma la scenografia Roberto Francia). Sul fondo, una tela con un cavallo dipinto; al centro, un letto per il sonno di Micol/Don Chisciotte: anima solitaria di questo teatro della memoria dove è il libro, ricettacolo di mondi possibili fissati su carta, ad aprire la giostra delle utopie. Come se dal rogo dei volumi proibiti accennato nella prima scena fosse necessario salvare unopera che racchiuda in sé il fertile seme dellumanità. E come se questopera stia tutta nella disarmante purezza del suo hidalgo: Micol si cala nel ruolo con generosa sensibilità, accentua i toni nostalgici e mesti e, affiancato da un Sancho Panza buffonesco ma assai affidabile e ragionevole (Augusto Fornari), ci si mostra nel candore di un attore-bambino che crede ancora di poter volare, che pensa basti una corazza per fare il cavaliere. A lui spetta, in fondo, la poesia più autentica di questo lavoro suadente e malinconico, dove i pupi siciliani mossi da Filippo Verna Cuticchio sono chiamati a incarnare i sentimenti, i desideri, la leggerezza della fantasia.
E non è un caso che, al di là degli scherni degli scettici, questo Don Chisciotte smunto e credulone soddisfi la sua sete di immaginazione confidando nelle ombre di una scena che, con apprezzabile coerenza, il manovratore Scaparro spaccia caparbiamente per verità.
AllArgentina fino al 18 dicembre. Tel. 06-684000345.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.