Politica

«Ho avuto incubi per un mese la notte sognavo il sequestro»

Il pm di Bologna Lucia Musti: «Arrestare i colpevoli è stato un successo investigativo»

Claudia B. Solimei

da Bologna

Partiamo dalla fine, da quando gli assassini hanno confessato ed è stato chiaro che Tommaso era morto. Che cosa ha provato?
«Una grande rabbia. Ma cosa si poteva fare, se il bambino è stato ucciso subito dopo il sequestro? Nulla. Tutti hanno dato il massimo per cui ho la coscienza a posto come magistrato. Per 30 giorni ho lavorato così, senza sapere se lui fosse ancora vivo o morto. E non ci ho creduto fino a quando non hanno trovato il corpo. Allora ho avuto la conferma che il valore della vita ormai è nullo. Il nostro peggiore nemico siamo noi stessi, sono gli altri uomini».
Lucia Musti, 48 anni, 24 passati in magistratura, alle spalle alcune indagini che l'hanno segnata, quella sulla Uno Bianca e sui Bambini di Satana, una delle prime inchieste sul satanismo in Italia, poi conclusasi con delle assoluzioni, da due anni è distaccata alla Dda di Bologna. Sposata, una figlia adolescente e un labrador, Bobo, che la segue spesso anche al lavoro, è la donna del pool di magistrati del caso di Tommaso Onofri, la signora bionda a cui è toccato affrontare alcune delle prove più difficili di questa tragedia.
È stata lei a dire agli Onofri che Tommaso era morto. Che parole ha usato?
«Sono andata da loro con il cuore in mano, ho parlato prima come madre: ho detto di pensare a Sebastiano, l'altro figlio, di cercare conforto nella fede. Come magistrato ho assicurato che avrei fatto il massimo perché i responsabili siano puniti».
Avevano già saputo qualcosa dalla tv?
«Ahimé sì, per questo ho trovato anche molta rabbia, soprattutto negli zii. Loro, invece, erano ammutoliti».
Sul papà di Tommaso ci sono stati molti sospetti a causa di quei file pedo-pornografici.
«Sono venute fuori anche delle cose aberranti, ma è risultato che non avevano attinenza con il sequestro. Questa vicenda avrà un corso processuale autonomo. A volte è inevitabile in questo tipo di indagini: scavi nella vita privata delle persone...».
Lei ha interrogato a lungo la moglie, Paola, proprio all'indomani dell'iscrizione nel registro degli indagati del marito. Che persona si è trovata davanti?
«Una donna molto legata a suo marito. A un certo punto ho avuto la netta sensazione che lei non credesse a quello che le dicevo, a quelle accuse».
Un altro fatto inquietante: quella scritta «ne hai abbastanza?» tracciata sulla strada. Che idea se n'è fatta?
«Posso pensare che sia stata scritta da qualcuno che non è dalla parte di Paolo e ha voluto punirlo nel suo dolore. Si può essere la persona peggiore del mondo, ma infierire su un uomo nel momento del dolore di un figlio che è scomparso è terribile».
Il rapporto tra magistrati e media è stato difficile in questa vicenda. Perché?
«La pressione dell'informazione ha creato stress anche in chi doveva operare sul campo. Noi non siamo politici o personaggi dello spettacolo. Dovevo essere necessariamente non gentile, diversa da quella che è la mia natura».
Da magistrato, ora che tutto è finito, che senso dà a questi 30 giorni di indagini?
«Abbiamo messo le manette ai tre sequestratori e questo è un grosso successo. Cinicamente potrei dire che non c'è nessuna sconfitta, anche se il bambino è morto. Il nostro risultato investigativo non è stato capito, forse è stata anche colpa nostra, e questo mi spiace».
E dal punto di vista umano?
«Quando andavo a dormire, sognavo le indagini e le persone coinvolte.

Se oggi mi facessero un esame del sangue, ci troverebbero il sequestro di Tommaso».

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