Ho corso anch’io con la fiaccola ma ho fatto piangere i miei figli

Per l’emozione ho dato un appuntamento sbagliato alla mia famiglia. Poi mi sono comprato la torcia a 350 euro

Massimiliano Lussana

Innanzitutto, l’autodenuncia: il signore qui a fianco con la fiaccola olimpica in mano è il sottoscritto. L’effetto, me ne rendo conto, è un po’ quello del Gabibbo, ma rassicuro le lettrici: io faccio sì parte della generazione XXL, ma la tuta ufficiale con i cinque cerchi olimpici è un paio di misure più larga della mia.
Fatta questa indispensabile premessa, provo a raccontarvi cosa si prova a fare il tedoforo portando la Fiamma di Olimpia. E «provo» è proprio l’espressione più azzeccata, perché raccontare un’emozione è sempre e comunque un’impresa. E portare il sacro fuoco è sempre e comunque un’emozione: anche se sai che, come te, ci sono diecimila e uno tedofori; anche se si parla di Olimpiadi invernali che, da sempre, sono un po’ le parenti povere delle altre; anche se sai che tu hai la fiaccola in mano solo grazie alla benevolenza di uno degli sponsor del viaggio in Italia, nel mio caso la Samsung, che ringrazierò a vita per avermi inserito nella squadra che da Rapallo ha portato la fiaccola a Portofino.
Ma persino con tutti gli «anche se», sto parlando di qualcosa che, ancor prima di partire per i miei 400 metri, mi ha azzerato la salivazione e annebbiato il cervello, di suo già abituato a vivere nelle brume e nel disordine. Tanto per dire - complice la topografia del comitato olimpico, che parla di «percorso sulla statale 1 all’altezza chilometro tal dei tali» - ho dato appuntamento a mia moglie Loredana e ai miei bimbi Francesco e Federico in un posto sbagliato. E, quando si sono visti arrivare un tedoforo coreano invece del papà, le due creature che hanno tre e un anno, hanno contribuito con le loro lacrime a alzare il livello del mare nel golfo del Tigullio. A mia moglie, invece, le lacrime le avevo già fatte piangere tutte in precedenza. Facendole la testa grossa con la mia olimpiade. Due mesi di parole per cinque minuti di impegno.
La salivazione si è azzerata prima di partire, il fiato invece l’ho finito già dopo il primo tratto, tragicamente in salita. Gli uomini dell’organizzazione, prima di partire, ci avevano tranquillizzato: «Non è necessario correre, basta camminare». Pia illusione: il signore che vedete nella foto al mio fianco è un maratoneta che dà il ritmo ai tedofori. E lui di camminare non ne aveva la minima intenzione; in salita, in piano e in discesa ha un’unica andatura: la corsa.
Più utili gli altri consigli nel briefing prima di partire. Le efficientissime ragazze del Toroc ci hanno spiegato, peraltro su richiesta di alcuni partecipanti alla staffetta, come ci si deve comportare in caso di morte del tedoforo. Circostanza che ha fatto cadere a terra più di una torcia, perché i partecipanti alla riunione - tutti regolarmente muniti di fiaccola - hanno preferito usare le mani per altri scopi. Poi ci hanno illustrato un simpatico vademecum, sullo stile di quello distribuito dalle hostess prima della partenza degli aerei, in cui ci sono vari consigli. A me, il più interessante è sembrato quello che spiega come comportarsi in caso di freddo, probabile visto che la fiamma viaggia da dicembre a febbraio.

Spiega che il fuoco non va usato per riscaldarsi e che è meglio usare i guanti che mettere le mani sopra la fiamma.
Commosso li ho infilati. Hanno anche i cinque cerchi olimpici. Per la fiaccola, invece, fanno settecentomila lire. Del vecchio conio.

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