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"Ho sempre fatto ridere perché sono figlio unico"

Il comico Max Angioni all'Arcimboldi: "Raccontavo le barzellette agli adulti, qualcuna anche a sfondo sessuale"

"Ho sempre fatto ridere perché sono figlio unico"
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Un medagliere di sold out, un successo che passa come una corrente elettrica continua dalla tv (Zelig, Le Iene) al teatro e ritorno. Max Angioni da Como, faccia e radici da sudista, lombardo all'anagrafe, ironia senza confini geografici, torna al Teatro degli Arcimboldi - dal 30 dicembre al 4 gennaio - con il suo one man show "Ancora meno", per l'occasione ribattezzato col sottotitolo "Round finale" perché le cose stanno esattamente così: "Dopo due anni che giro per l'Italia siamo alla sgrattata finale, raccolgo gli ultimi applausi e poi metto il punto con questo spettacolo spiega Angioni - Agli Arcimboldi ho fatto al primo giro sette date, ora ne faccio sei, al Brancaccio di Roma ne feci cinque, sto tirando la corda ma il pubblico mi vuole bene". Protagonista di uno spettacolo dove racconta di sé ma anche di attualità, il giovane Max (classe 1990, over 30 sì ma dal piglio "meno adulto") nel 2025 ha aggiunto anche un film da protagonista al suo curriculum, "Esprimi un desiderio", commedia di Volfango De Biasi nella quale interpreta un condannato ai servizi sociali capace di mettere a soqquadro una casa di riposo per anziani.

Partiamo da qui: la sua comicità è trasversale per età. Qual è il segreto?

"Essere stato figlio unico, anzi per un bel po' pure unico nipote di una nutrita famiglia".

E che ci azzecca?

"Basta immaginare questo: tavolata per qualche festa a casa, io unico bambino insieme a un'orda di adulti. Inutile dire che mi rompessi le scatole, ma c'era una via d'uscita: ero un fan del programma tv "La sai l'ultima?", sapevo raccontare le barzellette e gli adulti me le chiedevano, ne snocciolavo qualcuna anche a sfondo sessuale, io non la capivo ma vedevo che tutti ridevano per come la dicevo".

Quindi da comico ha iniziato prestissimo.

"Sì, lunga gavetta. Alternata ad altri mestieri, pochi soldi all'inizio poi ha cominciato a girare tutto".

Non è esagerato definirla una star della comicità: si sente a suo agio nell'etichetta?

"Rispondo così: a volte mi chiedono come sia l'ambiente dello spettacolo e io non so cosa rispondere. Dopo lo show me ne vado a casa, spesso mi faccio una minestra pronta e mi tuffo in una serie tv su Netflix. Mettiamola così: i red carpet non fanno per me, vedo tanti colleghi sfoggiare giacche catarinfrangenti perfette per l'occasione. Io ho tre felpe".

Un lungo tour con "Ancora meno": è uno show cambiato nel tempo?

"Il testo centrale e gli aneddoti personali restano quelli. Ma c'è tutta la parte dell'interazione col pubblico, che io amo molto, e che è inedita ogni sera".

Come si diventa comici?

"Ognuno ha il suo percorso. A parte l'aneddoto di cui sopra, posso dire che essere stato figlio unico mi ha aiutato anche a sviluppare una certa sensibilità artistica: se i genitori litigavano o se buttava male in qualche situazione non avevo un fratello con cui consigliarmi. Dovevo drizzare le antenne da solo, buttarla sulla creatività".

Cosa porta sul palco per il suo one man show?

"Oggetti da stand up comedy classica: una panca, che può trasformarsi in poltrona dello psicanalista, un leggio che diventa magicamente scrivania per una denuncia in questura, due tende alle spalle che hanno una funzione coreografia narrativa. A un certo punto si trasformano in quella che definiamo l'origine della vita, e ci siamo capiti".

La comicità in tv funziona, ma è forse troppa?

"Macché.

Non è mai abbastanza. E poi far ridere è come giocare a calcio: non puoi barare. Se scendi in campo e sei un brocco lo si capisce subito. E la comicità è lo stesso: se non fai ridere, la gente tace. Nessuno sa ridere per finta".

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