"Ho sempre odiato sgomitare ma le donne non fanno squadra"

Con un’inchiesta sulla sanità domani ricomincia "Exit", il programma di approfondimento de La. Lo conduce Ilaria D'Amico

"Ho sempre odiato sgomitare ma le donne non fanno squadra"

Roma - Primadonna? No, grazie. Proprio adesso che, dopo la partenza di Daria Bignardi e prima dell’arrivo di Lilli Gruber, la corona di «first lady» de La7 pareva finalmente alla sua portata, Ilaria D’Amico rinuncia a salire sul trono. «Primadonna? No: è un concetto estraneo al mio modo d’essere - si defila, modesta, la conduttrice di Exit -. E proprio non riesco a pensare che fra colleghe si debba lottare per salire di grado». Resta in secondo piano, dunque, ma grintosa come sempre, ad affrontare la quarta serie del programma d’inchiesta e approfondimento de La7 (dal 1° ottobre per nove mercoledì in prima serata) che ha creato assieme a Claudio Canepari. Con parecchie idee, e qualche speranza.
«È vero che spesso le donne non fanno gruppo - riflette - e sono meno solidali fra loro degli uomini. Ma io non ho mai sgomitato per farmi spazio fra le mie colleghe».

Nemmeno con la Bignardi di Le invasioni barbariche?
«Scherza? Pensi che quando La7 annunciò che saremmo comparse nello stesso palinsesto, proprio Daria mi bisbigliò: “Vedrai che adesso cercheranno di dimostrare che siamo una contro l'altra”. E invece fra me e lei c’è molto affetto. Forse proprio perché siamo così diverse».

Ma l’arrivo della Gruber a Otto e mezzo non l’ha urtata nemmeno un po'?
«Figuriamoci: Lilli è sempre stata il mio modello! È stato proprio guardando lei e Maria Luisa Busi al Tg1, che ho cominciato a sognare questo mestiere. Poi il destino m’ha spinto a diventare qualcos’altro; ma la Gruber rimane un esempio di professionismo incrollabile. È forte, ha personalità, parla 785 lingue... e conduce Otto e mezzo senza rinunciare a imprimervi il suo stile personale».

E a proposito di giornalismo femminile: che ne pensa di Margherita Granbassi «spalla» di Santoro ad Annozero?
«Conosco personalmente Margherita. Fece un piccolo tirocinio con me mentre si sperimentavano i programmi di Skt Sport: faceva dei servizi mettendo in campo la sua esperienza di grande campionessa ed era molto studiosa, molto determinata. Poi l’ho rivista da Santoro, e m’è piaciuto come lui l’ha “protetta” all’interno di un’arena tanto difficile. Non come faceva con la Borromeo, che invece veniva buttata allo sbaraglio».

E quando fu lei, a cominciare a La7?
«Io ebbi la fortuna enorme di sentirmi dire: “Qualsiasi cosa tu voglia fare, falla con noi. E con i collaboratori che vuoi tu”. È così che mi è nata l’idea di Exit».

Quale la caratteristica del suo programma?
«Sempre la stessa. Partire da un’inchiesta, da un approfondimento molto documentato, e poi mettere a confronto su quel tema i protagonisti del fatto. Mantenendo autonomia e libertà; chiedendo ai politici di non fare i politici ma di restare sui fatti concreti; “contaminando” fra loro linguaggi televisivi di diversa natura».

Di cosa vi occuperete nella prima puntata?
«Di sanità, innanzitutto. Delle liste di attesa, che negli ospedali italiani hanno raggiunto lunghezze drammatiche e surreali: per una mammografia a Roma si aspetta fino a 14 mesi, a Udine a 17, a Bari a 29. Del malvezzo di molti primari di ricevere privatamente, e a pagamento, i pazienti che non possono permettersi attese simili, ricevendoli “intramoenia”, cioè dentro le mura stesse dell’ospedale. Ci saranno in proposito tutti i protagonisti interessati al tema: il sottosegretario Fazio, il governatore del Lazio Marrazzo, Livia Turco, Maurizio Gasparri, i rappresentanti delle associazioni dei pazienti e dei medici. Poi parleremo di mutui. Ora che il tanto atteso accordo Abi-Tremonti è arrivato, è davvero così facile trasferire il mutuo da una banca all’altra? E la rinegoziazione è davvero in grado di liberare dall’incubo delle rate troppo alte?».

Toccando tanti temi non di rado delicati, avete avuto mai grane?
«Be’: noi siamo stati i primi a parlare del fenomeno dei “fannulloni” nei ministeri; della morte del bestiame per avvelenamento di diossina, eccetera.

Ma abbiamo sempre cercato di farlo con la giusta misura: dicendo le cose, cioè, senza che nessuno potesse sentirsi diffamato. Risultato: molta attenzione da parte del pubblico, che sente di potersi fidare di noi. E neppure una querela. È un risultato anche questo, no?».

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