«Ho visto le fiamme alte sono stati tre italiani»

Tre giorni prima nell’insediamento era partito il primo e discusso censimento

da Roma

Un giallo nel fumo del rogo. Quando due sere fa la prima agenzia rilancia la notizia dell’incendio nel campo nomadi di via Candoni, si parla subito di «bottiglie incendiarie». E si fa largo l’inquietante ipotesi di un attacco razzista, e proprio nel mezzo delle polemiche sulle modalità di identificazione in vista del censimento delle popolazioni rom.
Poi passa la notte, per fortuna passano anche le fiamme, che circondano il campo ma non lo investono, nonostante il pericolo in più del forte vento che alimentava il fuoco. La polizia però esclude l’origine dolosa, sulla base del sopralluogo di scientifica e vigili del fuoco. Ma un volontario dell’Arci, addetto alla vigilanza notturna, finisce denunciato per procurato allarme. A quanto si dice negli ambienti investigativi, in una telefonata di richiesta di soccorso Alessandro M., 45 anni, avrebbe parlato di «italiani» che appiccavano le fiamme «con bottiglie incendiarie». Un’accusa gravissima, che però sembra appunto cadere nel vuoto, rendendo ancora più inspiegabile il riferimento all’attacco. Chi ha interesse a soffiare sul fuoco rischiando di rendere il clima intorno all’incendio ancora più incandescente? E qui comincia il mistero. Perché prima il dirigente dell’Arci solidarietà, Sergio Giovagnoli, difende l’operato di Alessandro, spiegando che ha solo chiamato i soccorsi. Poi lo stesso operatore Arci nega la teoria dell’attacco. «Non ho mai pronunciato le parole “italiani” e “molotov”», spiega. Giura di aver solo chiamato forsennatamente i soccorsi - pompieri e polizia - ma di non aver affatto avanzato azzardate ipotesi sull’origine delle fiamme.
Eppure tra gli inquirenti gira una versione differente. Secondo la quale una chiamata dal cellulare personale di Alessandro - registrata in automatico - farebbe chiaro riferimento al fatto che un gruppo di italiani stavano appiccando il fuoco con bottiglie molotov. Già due sere fa, appena arrivata nel campo circondato dalle fiamme, la polizia avrebbe chiesto all’operatore dell’Arci il motivo della sua denuncia. E Alessandro M. avrebbe detto di avere riferito quanto gli avevano detto due nomadi, residenti nel campo. A quel punto gli agenti hanno interrogato i due, che però hanno negato sia di aver visto incendiari all’opera che di averlo riferito all’operatore dell’Arci. Che, dunque, a quel punto è stato denunciato per procurato allarme.
«Non capisco come sia possibile - sospira però Alessandro - perché io mi sono accorto dell’incendio quando le fiamme erano già alte e non ho visto nessuno, meno che mai italiani che lanciavano molotov».
Stessa versione dei residenti del campo. Un ragazzo con la maglietta azzurra mentre guarda con un filo di sollievo le sterpaglie e i rottami bruciati a ferro di cavallo intorno ai prefabbricati, spiega: «C’era vento e comunque io non ho visto niente, solo le fiamme quando si sono alzate».

Tutti d’accordo? Sembrerebbe così, se non fosse per quella denuncia incisa in un nastro nei centralini della questura. Una traccia che a caldo aveva fatto temere il peggio. E che ora fa temere che qualcuno volesse strumentalizzare l’incidente.

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