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"Ho votato due volte, è stato facile"

"Ho votato due volte, è stato facile"

Milano - Che al referendum sul welfare si potesse votare non una ma due e, perché no, anche tre volte era solo un solo un sospetto. Adesso, abbiamo la certezza, con tanto di fotografia. Scatti di un broglio avvenuto nel seggio che Cgil-Cisl-Uil hanno impiantato a due passi da piazza San Babila e che ha avuto replay alla Camera del lavoro.

Due crocette sul pacchetto Damiano che si sommano ai 150mila voti - dato della Triplice - raccolti a Milano e Provincia nella giornata di ieri. Centocinquantamila preferenze che, naturalmente, non conteggiano i voti espressi da «una signora, casualmente seguita dalla troupe televisiva di Annozero»: simulazione di un broglio scoperto e denunciato dai confederali che vagheggiano di «tentativo di inquinamento di una straordinaria prova di democrazia sindacale» e di «attacco all’autonomia e al potere contrattuale del sindacato».

Sindacalese che, sua fortuna, Manuela non pratica. Chi è Manuela? Be’, è la venticinquenne impiegata di un’azienda tipografica che nel pomeriggio di ieri ha votato due volte (vedi foto a fianco, ndr) sotto l’occhio attento del vostro cronista e sempre presentando la propria busta paga. Busta paga leggera, «neanche ottocento euro», e sempre, anche se non richiesto, un documento d’identità.

Al primo voto, quello in piazza San Carlo, Manuela è tirata o quasi per la giacchetta. «Dài, compagna, dì la tua sul welfare» e lei - jeans, giubbetto militare e coda di cavallo - non se lo fa ripetere due volte. Documenti alla mano e, oplà, ottiene una scheda di votazione già siglata dalla commissione sindacale. Foglietto che invita a sciogliere tutti i dubbi: «favorevole» o «contrario» sull’«Accordo sottoscritto il 23 luglio 2007 tra Cgil Cisl Uil e governo su previdenza, lavoro e competitività per l’equità e la crescita sostenibile». La risposta di Manuela? «Non mi ricordo che cosa ho votato».

Va be’, anche senza conoscere il voto di Manuela il risultato comunque non cambia. Almeno così sostengono i pasdaran confederali: il referendum, dicono, l’organizzano loro e sempre loro danno il responso del test che incide sull’agenda politica del governo Prodi. Sarà, anche se nelle fabbriche, nei luoghi di lavoro si respira un’altra aria: gli eredi delle tute blu non la pensano né come Guglielmo Epifani né come i suoi colonnelli milanesi.

Dettagli senza alcuna importanza per Manuela che, attenzione, a votare ci ha preso gusto. E mentre da piazza San Carlo avvertono i dirigenti sindacali che «una troupe tv guasta la festa» - è la troupe di Annozero che in serata sarà denunciata dai sindacati milanesi - Manuela se la fa a piedi sino al seggio pubblico più vicino. Quando mancano dieci minuti alle diciassette entra al civico 43 di corso Porta Vittoria, sede della Camera del lavoro. Sì, nel cuore pulsante del sindacalismo ambrosiano, dove in due minuti scarsi presenta la busta paga, ottiene la scheda e appone un’altra crocetta. Ah, stavolta, Manuela spiega di «aver già votato» ma la bionda scrutatrice intenta a far chiacchiera con la collega di seggio non sembra dar pesa alla notizia. Evvai, un’altra prova provata (vedi foto a fianco, ndr) che questo referendum è falso, che il voto si può truccare e senza troppi problemi.

Giochetto da ragazzi che potrebbe proseguire ancora in qualche sede dello Spi-Cgil, magari al Gratosoglio ma Manuela si è già stancata: per lei, generazione low cost, è solo tempo perso. Quello che non è, invece, per alcuni dirigenti milanesi dei Comunisti italiani che inondano il telefonino di sms con nomi e cognomi di pensionati disposti a dare il voto «ics» volte.

Anche questo un giochetto facile facile, confida un sindacalista di peso in cambio dell’anonimato: «Si sa il pensionato ha tempo, tanto tempo a disposizione e in qualche sezione sindacale di periferia dà un voto dietro l’altro». L’ultima raffica per chi è fuori dal mondo del lavoro e non s’accorge (o finge) del mal di pancia che quotidianamente esplode nei magazzini, nelle mense operaie e davanti alle macchine utensili. Malessere di un generazione che al «sì» imposto da Epifani and company risponde truccando il referendum, «tanto fanno quello che vogliono».

gianandrea.

zagato@ilgiornale.it

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