Hugo Pratt Salpò dal fumetto e approdò all’arte

Si apre oggi al Museo d’Arte di Lugano una delle più complete retrospettive sull’opera di Hugo Pratt dopo la sua scomparsa, avvenuta a Lugano nel 1995. Questo appuntamento offre l’occasione per tentare di rispondere a due interrogativi finora irrisolti. Il primo: Pratt è «soltanto» il maestro assoluto del fumetto moderno oppure può aspirare a qualcosa di più? Il secondo: perché ci si divide ancora sul «background» del nostro autore, strattonandolo a manca e destra? Ovvero, lui e il suo immortale personaggio Corto Maltese erano davvero uomini di destra?
Andiamo per ordine. Pratt parte dal fumetto e arriva all’arte. La sua bravura nell’acquarello non ha uguali in Italia - forse il solo Francesco Clemente, pittore della Transavanguardia, gli sta dietro - ma nel nostro Paese, a differenza che in America o in Francia, la critica ragiona ancora per compartimenti stagni per cui esporre un illustratore in un museo risulta comunque un’anomalia. Tra il 1967, anno di Una ballata del mare salato, primo albo di Corto, e il 1974, il secondo episodio, un capolavoro, Corte Sconta detta Arcana, non c’è sulle nostre sponde alcun pittore così avanti, così visionario e di gusto internazionale. All’epoca, aspettando l’esplosione dell’Arte Povera, la pittura si divideva tra resistenza dell’Informale astratto ed episodi marginali di Pop Art (Mario Schifano a parte), e i quadri risultavano meri esercizi stilistici e accademici. Per contro, il mondo del fumetto (con la celebre triade Guido Crepax - Milo Manara - Hugo Pratt) fu capace di rivoluzionare l’organizzazione della tavola, non più lineare come nei comics americani. Questi tre maestri provengono dai giornaletti di massa e approdano alla cosiddetta autorialità, che proprio negli anni ’60 stabilisce un netto discrimine tra il commerciale e il ricercato.
Quando Pratt fonda, nel 1947, Albo Uragano, divenuto poi Asso di Picche, il fumetto italiano più letto è Tex; non è ancora una rivoluzione ma già il tentativo di inserire a pieno titolo l’elemento letterario. Conrad, Melville, Fenimore Cooper sono alcune tra le sue fonti, in un intricato meccanismo di citazione che solo un pubblico avvertito può cogliere appieno, mentre dal punto di vista grafico Hugo Pratt è un inventore assoluto, non solo nel tratto ma soprattutto nell’atmosfera. Basti pensare a come ha influenzato le generazioni più recenti di pittori, la cosiddetta nuova-figurazione degli anni ’90 che ha attinto a piene mani dall’immaginario romantico delle storie di Corto Maltese.
Considerato definitivamente un artista, Hugo Pratt va anche annoverato tra i padri della Graphic Novel, quella tendenza spuria che unisce ai baloon e ai disegni un testo dal valore letterario compiuto e non seriale. Tra gli autori e i «romanzi» di riferimento in tale disciplina di recente conio sono da considerare Art Spiegelman con Maus, Craig Thompson con Blankets, e ancora Joe Sacco, Shaun Tan e Jiro Taniguchi, ma è probabile che alcuni autori italiani, tra cui Pratt, Crepax e soprattutto Dino Buzzati nel Poema a fumetti pubblicato nel 1969, abbiano intuito con straordinaria preveggenza la forza del combinare letteratura colta a immagini pop e di impatto.
Pratt continua a entusiasmare il pubblico giovane per il decadentismo individualista di Corto Maltese, uno che non ha la linea della vita disegnata sulla mano e allora se la incide. Viaggiatore solitario, pensoso Übermensch del tardo Novecento, ha indubbiamente dei caratteri culturali riferibili a un pensiero di destra, cui Pratt è stato spesso ricondotto anche per via di un percorso biografico che lo vide militare nel 1945 prima nella Rsi, poi nella «Decima Mas». Più volte si sono scatenate polemiche riguardo all’appropriazione di Pratt, lanciata peraltro su queste stesse colonne nel 1996 e rinvigorite di recente da Casa Pound con l’indovinata pubblicità «Camerata Corto Maltese». Ma questo, alla fine, non è che un gioco, e la conferma che un popolo ha ancora bisogno di eroi.

Resta il fatto, e lo conferma la mostra di Lugano, che ci troviamo in presenza di uno dei vertici figurativi del secolo passato, un avventuriero nomade tra Venezia e Costantinopoli, Londra e l’Argentina, la natìa Rimini e i laghi della Svizzera dove andò a morire. Lo ricordiamo con nostalgia e con una frase di Corto: «Bisognerebbe travestire la realtà da sogno».

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