Iñarritu: umiliato negli Stati Uniti ho ideato «Babel»

Iñarritu: umiliato negli Stati Uniti ho ideato «Babel»

da Roma

«Questo Paese, l’America, è cambiata dopo l’11 settembre e Babel è il mio punto di vista su quello che non chiamerei nemmeno amministrazione ma regime»: schietto e pessimista, Alejandro Gonzales Iñàrritu il regista messicano di Babel, dopo alla candidatura del suo film a sette Oscar, parla delle sue aspirazioni e dell’America. Un Paese, dice «che ha focalizzato il suo obiettivo nel chiudere le frontiere ed è diventato paranoico non solo sull’argomento terrorismo ma in genere sull’argomento “altri”, senza nemmeno preoccuparsi di capire chi sono gli altri. Bush e il suo entourage, hanno iniziato a considerarli come nemici e questo per me è un regime ed uno dei più pericolosi, che ha messo il mondo in una situazione davvero difficile». Iñàrritu, la cui pellicola torna ora nelle sale italiane proprio in virtù delle candidature all’Oscar, ha spiegato com’è nata l’idea di questo film, che vede protagonisti fra gli altri Brad Pitt e Cate Blanchett e che, raccontando storie separate ma unite da un unico filo conduttore, prende in esame argomenti attuali e diversi come il terrorismo, l’immigrazione, il mercato delle armi, l’incomunicabilità fra genitori e figli.
«Un fatto certamente importante per me e per la realizzazione di Babel riguarda il mio primo soggiorno negli Stati Uniti. Sono arrivato quattro giorni prima dell’11 settembre. Il fatto di essere stato un immigrato in quel preciso periodo storico è stato un punto importante per la produzione, per la concezione dell idea di questo film». Uno degli spezzoni che compongono Babel infatti racconta la storia di una immigrata illegale (Adriana Barraza), costretta a lasciare la famiglia al di là del confine messicano per lavorare come baby-sitter negli Stati Uniti. C’è una scena nel film in cui la donna e il nipote (Gael Garcia Bernal) devono subire un’ispezione al confine. «Non sono mai entrato negli Stati Uniti illegalmente - dice Iñàrritu - ma anch’io devo attraversare il confine messicano ogni sei mesi per rinnovare il mio permesso di soggiorno.

Devo tornare in Messico con mia moglie e i miei bambini e la scena nel film in cui Gael Garcia Bernal viene controllato, al confine, è ispirata alle tante e tante volte in cui sono stato passato ai raggi x e umiliato in quella situazione».

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