I bersagli dell’ira anti casta: i sei siciliani con due stipendi

Ricercati, wanted, come si diceva nei vecchi western. Additati alla gogna con nome, cognome e foto segnaletica, manca soltanto l’indirizzo di casa per organizzare la spedizione punitiva, in quella grande prateria che è internet. Sei parlamentari, età e partiti diversi, segno particolare siciliani, sono diventati il bersaglio per antonomasia, il simbolo di quella casta che va rottamata, specie adesso che all’italiano medio si chiede di tirare la cinghia. La loro colpa? Avere avuto l’ardire di presentare alla Corte dei conti un ricorso per riavere un privilegio tutto loro in quanto ex deputati siciliani: il vitalizio da pensionati del Parlamento siciliano (un lauto stipendio mensile che oscilla tra i 3mila e i 6mila euro a seconda dell’età e del numero di legislature), da cumulare al non proprio misero stipendio da parlamentare (14mila euro puliti senza contare diaria, viaggi e privilegi ulteriori). Di qui l’ostracismo on line nei loro confronti, quale summa di tutti i difetti della casta politica.
Eccoli i «ricercati», i bersagli da tenere a mente «a futura memoria elettorale», come recita un messaggio che gira in rete, corredato dalle foto: i deputati Calogero Mannino (Gruppo misto) e Alessandro Pagano (Pdl), e i senatori Giuseppe «Pino» Firrarello (Pdl), Salvo Fleres (Forza del Sud), Sebastiano Burgaretta (Pdl) e Vladimiro Crisafulli (Pd). Per quest’ultimo, sui social network, causa appartenenza al centrosinistra, gli insulti più pesanti. Ma anche l’ira contro gli altri non scherza, farsi un giro sul web per credere. Loro, più o meno in coro, si difendono dicendo che non è una questione di soldi ma di principio, in quanto sarebbero stati scippati di un diritto acquisito attraverso i contributi versati durante i loro anni al Parlamento siciliano. Dice l’ex ministro Mannino: «Ci sono questioni giuridiche che vanno riaffermate, solo dopo parteciperemo ai sacrifici che il Paese chiede». E il deputato Fleres: «Non si possono mettere in discussione i diritti acquisiti, l’amministrazione non può trattenere i contributi che abbiamo versato». Insomma, quel doppio stipendio è un diritto, perché, potenza dell’autonomia siciliana, il cumulo della pensione da deputato regionale e dello stipendio di parlamentare era sancito dalla legge. Il che, se pure paradossale (era un’anomalia tutta siciliana) è vero. Vero sino all’inizio dell’anno, allo scorso gennaio, quando l’Assemblea regionale siciliana ha sospeso il vitalizio.
Proprio qui, però, casca l’asino. Perché i sei che hanno presentato il ricorso alla Corte dei conti e che per questo sono ormai additati al pubblico ludibrio hanno indubbiamente scelto male i tempi, almeno per ragioni di opportunità. Ma erano ben 14 i parlamentari nazionali-ex deputati regionali siciliani che per anni, e sino all’inizio del 2011, hanno fruito di questo singolare e esclusivo privilegio. E tra loro c’erano anche paladini di legalità e di condanna nei confronti della casta politica del calibro del «falco» Fli Fabio Granata o del portavoce di Italia dei valori Leoluca Orlando. Loro adesso hanno accettato lo scippo della doppia indennità senza fare storie. Ma va da sé che se la Corte dei conti dovesse accogliere il ricorso dei sei i benefici riguarderebbero tutti quanti, paladini della legalità inclusi. «Ho preferito soprassedere al ricorso – ha spiegato Granata a Repubblica – perché in un momento in cui vengono richiesti sacrifici agli italiani la politica deve dare un esempio.

Rinuncio al vitalizio per ora: anche se, sia chiaro, ritengo che sia un diritto che non può essere messo in discussione». Insomma, la partita è aperta. E gli indignados del web, forse, possono preparare altre foto segnaletiche.

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