Cultura e Spettacoli

I big per schierarsi vogliono chiarezza

E se, una volta tanto, fossero gli assenti ad avere ragione, a proposito di questo Live aid segnato, ma solo in Italia, da diatribe, presenze fantasiosamente annunciate, assenze variamente motivate? Ieri Jovanotti ha rimesso il dito sulla piaga: partecipo, ha ribadito, se mi offrono garanzie sulla serietà ed efficacia dell’iniziativa, e se posso avere un confronto non con promoter in subappalto, ma col vero responsabile, Bob Geldof. Che gli ha dato ragione. Analogamente, Francesco De Gregori subordina il sì a un’informazione più precisa su «spirito e modalità» dell’evento, e l’impressione è che anche lui, come altri, si senta perplesso, di fronte alle polemiche, alla ridda di conferme e smentite e magari, aggiungo io, ad un’organizzazione italiana che, affidata ad un solo promoter, rischia di privilegiare interessi di scuderia, e di marketing, sull’oggettiva nobiltà delle intenzioni.
Certo, le motivazioni di certi rifiuti («Mi astengo da tutto ciò che tocca la politica», avrebbe detto Elisa, che invece ci sarà. E Pupo: «Sopporto poco Bob Geldof») lasciano sconcertati. Ma ben più serie ragioni parrebbero emergere, in filigrana, dal «gran rifiuto» di Vasco, come ipotizza Ramazzotti che parla di «organizzazione italiana carente», e lamenta che, contro una partecipazione straniera d’altissimo calibro, «qui siamo alla sagra paesana, alla festa de noantri»: con artisti d’alto livello frammisti ad altri di scarso peso, e con una certa tendenza ad annunciare presenze ancora dubbie. D’accordo, «smettiamo di guardare il dito e guardiamo la luna», ammonisce Baglioni invitando a privilegiare le idealità sulle pecche organizzative, ma Claudio Cecchetto, che se ne intende, ribatte che, spesso, queste crociate ad alto potenziale mediatico «servono soprattutto a far vendere dischi».
Non che sia in dubbio la buona fede di Geldof, ma, dice Jovanotti, la buona fede non basta, ci vuole rigore, chiarezza e soprattutto la possibilità di trattare con i veri responsabili. E lo ribadisce Ali Farka Touré, grande musicista del Mali, che motiva il suo no affermando, lapidario: «Dovevano chiedermelo per tempo e direttamente». Perché poi i nodi vengono al pettine: e contro la candida adesione di Zucchero, Venditti, Pausini, ecco infatti le rinunce di Vasco, di Giorgia, dei Subsonica, di Ramazzotti, i dubbi di Jovanotti, Morandi, De Gregori, le precisazioni di Celentano chiamato in causa con Mina. Risultato? Una rara occasione di far risuonare, su scala planetaria, la negletta musica italiana, rischia di ritorcersi contro quest’ultima. Per di più in un momento in cui i maestri della canzone di qualità mostrano un’insolita apertura verso un pubblico più vasto e differenziato. In cui un personaggio appartato come Francesco Guccini s’accinge a recitare in un film di Pieraccioni, e accetta di partecipare al festival Gaber, Paolo Conte si offre al pubblico «di massa» all’Arena di Verona, Lucio Dalla frequenta i varietà del sabato sera e De Gregori, dopo essere intervenuto con Giovanna Marini a una trasmissione del nazional-popolare Morandi, non disdegna di concedersi una pausa ludica - divertirsi non è reato - addirittura al Festivalbar.
Una partecipazione a Live aid, che è impegno sociale ma anche divertimento, e che mobiliterà un pubblico mai così vasto, potrebbe inserirsi fruttuosamente in questo ampliamento di orizzonti, che comincia ad attrarre alcuni tra i nostri artisti più grandi e solitari. Ma bisogna che gli organizzatori creino condizioni adeguate. Finora ci sono motivi sufficienti per partecipare, e altrettanti, non meno fondati, per astenersi.

Non compete agli artisti, semmai ai promoter far prevalere i primi sui secondi.

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