Ma i «bot people» non si toccano

Da un eventuale incremento del prelievo sarebbero escluse le obbligazioni pubbliche

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Antonio Signorini

da Roma

A meno di una settimana dal Consiglio dei ministri che potrebbe varare il prossimo taglio delle tasse tutto incentrato sull’Irap, continua a tenere banco il nodo della copertura. Nei giorni scorsi da via XX settembre sono filtrate diverse possibilità, non sempre compatibili tra loro. Il ministero dell’Economia sta effettivamente vagliando alcune ipotesi, ma nessuna per il momento è quella ufficiale. Quello che è certo è che per trovare le risorse necessarie si ricorrerà ad un mix di tagli e maggiori entrate.
Secondo quando detto ieri dal ministro Domenico Siniscalco al convegno dei giovani di Confindustria, entro due o tre anni sarà abolita l’Irap sul versante del lavoro. Una misura che costa 12 miliardi. Poi il ministro ha di fatto escluso dal pacchetto di misure l’aumento dell’Iva di un punto dal 20 al 21 per cento che era stato ipotizzato nei giorni scorsi e che da solo avrebbe fruttato 5 miliardi di euro. Siniscalco l’ha definita una misura «non intelligente», perché penalizza i consumi in un periodo negativo per l’economia. Nei giorni scorsi al ministero di via XX settembre l’aumento dell’Iva veniva però considerato «razionale» perché i consumi degli italiani - come è rilevato nell’ultima relazione di Bankitalia - sono aumentati. E a beneficiarne sono state soprattutto merci che non vengono prodotte in Italia, come telefonini e apparecchi elettronici. È probabile però che il governo non intenda colpire i commercianti e i cittadini per far calare un’imposta che pagano le aziende. Ecco allora che rispunta la possibilità di armonizzare il prelievo sulle rendite finanziare. Questa possibilità era stata esclusa nei giorni scorsi da Silvio Berlusconi. Il premier non vuole che un prelievo più pesante penalizzi i «bot people» che sono ancora tanti, quasi tutti appartenenti a quella classe media che tradizionalmente integra il reddito da lavoro con i titoli di Stato. La soluzione sarebbe quindi quella di escludere dall’aumento delle imposte le obbligazioni pubbliche, per le quali rimarrebbe al 12,50%.
Secondo questo progetto per tutte le altre forme di investimento i guadagni dovrebbero essere tassati al 22 per cento, il 9,5 per cento in più. Ne beneficerebbero i conti correnti i cui interessi sono ora tassati al 27 per cento. Tra le altre ipotesi a cui il governo sta ancora lavorando c’è il ritocco dell’accisa sulla benzina di 3 o 4 centesimi al litro, un aumento dell’addizionale regionale Irpef e un riordino dei giochi e delle lotterie. Difficile prevedere se queste ipotesi resisteranno alle obiezioni del resto del governo. Palazzo Chigi è sempre stato contro l’aumento delle tasse locali, anche se bisogna tenere conto che l’Irap serve a finanziare la spesa sanitaria che è di competenza delle regioni e che quindi un aumento delle addizionali rientrerebbe nell’ambito di quell’autonomia impositiva che governatori ed enti locali chiedono da tempo. Dalle accise, che colpiscono la produzione come l’Irap, così come dai giochi le entrate previste non sono sufficienti a coprire il «buco» lasciato dall’Iva (mezzo miliardo che si sommerebbe ai 3,3 miliardi delle rendite finanziarie).

Il piatto forte delle coperture non potrà quindi che essere quello della lotta all’evasione fiscale e, soprattutto, quello dei tagli alle spese. E allora potrebbero rispuntare molte delle sforbiciate che erano state proposte per il precedente modulo della riforma fiscale e che furono accantonate.

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