Politica

I buchi nell’acqua della maga del lago

Andrea Acquarone

nostro inviato a Dervio (Lecco)

Dal parabrezza del Ducato blu dei «carabinieri subacquei» spunta un salvagente; parcheggiata accanto una moto a quattro ruote carica di funi e rampini, di quelle che si usano per battere spiagge e sentieri. Riposa all’hotel «Meridiana», discreto tre stelle affacciato sullo specchio di questo manzoniano lago di Como che si incunea a Lecco, la squadra di sommozzatori.
Siamo a Dervio, in una giornata in cui il sole torna a illuminare i confini. Ieri mattina finalmente la «squadra» ha ripescato il cadavere di Chiara Baruffi. Da quasi tre anni la cercavano, anche se forse sarebbe meglio dire che a cercarla erano rimasti solo mamma e papà. Era il 30 novembre 2002 quando la ragazza sparì con la sua jeep in una notte da tregenda. E senza un perché. Aveva trent'anni. Una medium avrebbe dato l'imput giusto. Sarebbe stata lei, Maria Rosa Busi, cinquantacinque anni, infermiera bresciana con la capacità (sostiene lei) di dialogare col soprannaturale, a fornire le indicazioni giuste per arrivare alla verità. Per individuare il punto in cui Chiara era morta. Sarà per questo che i militari di Lecco evitano di parlare? Caso risolto, ma nessuna pubblicità. Magari perché stavolta non è merito loro? Strano comunque.
Strano se non fosse che in questa storia tinta di giallo sono tanti, troppi, i particolari che non quadrano. A cominciare da lei, la maga, la sensitiva, che a dispetto dell'apparente successo, adesso sembra evaporata nel nulla, così come i corpi delle persone che sostiene di poter individuare. Ha parlato con le tv l'altro ieri, da quel momento fine delle trasmissioni. Al suo cellulare risponde un misterioso «collaboratore». Dice che Maria Rosa sta riposando, che non ha «niente da dire». Proprio come l'irraggiungibile capitano dei carabinieri di Lecco: «Fuori sede», spiega un compassionevole centralinista. E allora proviamo col riannodare i fili di questo noir che, per un insondabile intreccio del destino, dal lago di Como arriva fino a Brescia, anzi fino al lago d'Iseo. Sì perché l'uomo che per settimane ha dragato i fondali tra Bellano e Dervio si chiama Remo Sonetti. È il responsabile della Protezione civile «gruppo di soccorso Sebino» di Pisogne. Ed è stato lui a individuare, grazie a Mercurio, il suo robot subacqueo capace di toccare i meno cinquecento, la Dahiatsu color amaranto di Chiara.
Ma soprattutto è lui, il misterioso pescatore, che un mese fa raccontò agli investigatori di aver notato Guglielmo Gatti, ovvero il presunto assassino dei coniugi Donegani, sulle rive dell'Iseo alla vigilia della loro sparizione. «Stava male quel giovane, mi sembrò stesse vomitando», spiegò ai carabinieri. Solca le acque del lago da quando era giovane Remo, suo padre era pescatore, lui ne conosce correnti e profondità. In quasi venticinque anni di volontariato ha recuperato oltre centoventi cadaveri, sepolti tra le alghe scure dei laghi. In zona dicono che nessuno meglio di lui sia capace di ritrovare gli «introvabili». Maria Rosa Busi lo ha aiutato più di una volta, nelle sue ricerche. Con le sue «visioni», le preveggenze. Ma è stata davvero lei ha fornire stavolta l'indicazione giusta? Sulla «terrazza», adibita ad area di sosta, proprio sul finir di una curva a gomito e dalla quale è precipitato il fuoristrada di Chiara, qualcuno ricorda che all'indomani della scomparsa vennero notati i segni di una lunga frenata. Per questo si era già cominciato a cercare proprio in quel punto. I soccorritori controllarono, ma i loro strumenti subacquei non arrivarono alla profondità giusta. L'auto di Chiara era rotolata lungo il fondale toccando i 122 metri. La maga, dicono gli scettici, non avrebbe fatto altro che tornare sul posto, ma con gli strumenti giusti: l'esperienza di Remo Sonetti, il pescatore, e le apparecchiature adatte. Maria Rosa Busi ha già fatto parlare di sé. E non sempre in termini lusinghieri. Fu lei a sostenere che il Duce, Mussolini, le aveva parlato indicandole dove si trovava il tesoro di Dongo. Risultato: mezzo Vittoriale traforato come un groviera ma dell'oro nessuna traccia. E l'anno scorso anticipò, mobilitando addirittura i servizi segreti, un attentato islamico a Roma. Per settimane polizia e carabinieri andarono a caccia di un passeggino carico di tritolo.

Non ci fu nessun «boom».
Andrea Acquarone

Commenti