Milano Alla fine, sono sparite anche le auto: sì, l’intera collezione di auto di epoca che Walter Burani aveva accumulato negli anni ruggenti del marchio lanciato da sua moglie Mariella, e che ora, al momento del tracollo, sarebbero servite a fare un po’ di cassa. Invece racconta il testimone Guido Vaghi al pm Luigi Orsi: «Per cercare di recuperare la perdita causatami da Burani, ho proposto a Walter di vendere le automobili d’epoca che lo stesso colleziona. Per una Ferrari Le Mans avevo trovato un acquirente a sette milioni di euro ma Burani non solo non mi rispose, ma ha fatto scomparire le auto. Nel senso che non le ho più viste nel garage aziendale».
È una lunga serie di furbate che, alla fine, trascina in galera Giovanni Burani e suo padre Walter - solo per rispetto per i 77 anni - agli arresti domiciliari. Il crac della maison Burani, nell’inchiesta della Procura milanese, non è stato solo il triste crepuscolo di una firma un tempo gloriosa del made in Italy: è stata anche una storia di pirateria finanziaria, in cui l’arcipelago di società (in buona parte straniere e anche offshore) in cui si era sparpagliata la ditta di Cavriago è divenuta la Tortuga dove s’è cercato a tutti i costi di far sparire il pasticcio. E soprattutto di tenere in vita a tutti i costi un’azienda ormai cotta, inventando acrobazie finanziarie, lanciando scalate senza senso a società già controllate, e tutto questo con il solo scopo di tenere alto il valore delle azioni, di nascondere che il tracollo era ormai nelle cose e nei conti. Al punto che il pubblico ministero parla di «una sistematica attitudine a falsificare i bilanci». Tutto ciò avveniva, naturalmente, con la benedizione della banca di turno, quella Centrobanca cui la Procura riserva parole severe, «si osserva che Centrobanca sapeva perfettamente dell’incapacità dei Burani di rimborsare il finanziamento con i soli proventi della gestione ordinaria». Né escono meglio dalla vicenda il collegio sindacale e i revisori dei conti, che non si accorgono di nulla: «Nessun apporto quindi da parte degli organi di controllo al fine di offrire una doverosa informazione su aspetti non trascurabili dell'operatività aziendale».
Ieri mattina, quando la Guardia di finanza di Reggio Emilia fa scattare le manette, si celebra una rottura: Giovanni Burani è il primo uomo della via italiana alla moda a finire in cella per bancarotta. E nelle carte, la storia del suo «brand», la sua inarrestabile trasformazione da azienda di moda in macchina finanziaria, racconta un male che non è solo della Burani. I tempi in cui nel paesino di Cavriago una coppia di giovani imprenditori spiccava il volo verso il mondo del prêt-à-porter, delle vetrine, dei marchi famosi, sembrano molto lontani. Ago e filo hanno ceduto il passo alle Opa e ai contratti put and call. Una degenerazione che viene descritta in modo efficace del pm Orsi: «Nella logica operativa di questi indagati, pare che la sola ragione d’impresa fosse quella di impiegare i ricavi della gestione tipica, nel sostegno dei titoli quotati in borsa. Anziché impiegare risorse nella produzione e commercializzazione nei settori propri, questi amministratori hanno disperso la maggior parte delle risorse per sostenere i titoli pur nella consapevole evidenza di dissipare il patrimonio». Quando il barometro dell’economia mondiale si è bloccato sul brutto, è arrivato il tracollo: «Una spirale perversa che necessariamente doveva condurre al default delle imprese». Quanti altri marchi seguiranno la stessa sorte?
Di certo, è che negli ultimi due anni di vita del marchio, Burani padre e figlio sembrano venire inghiottiti da una sorta di furia, iniziano a mettere in campo operazioni sempre più astruse il cui unico scopo è abbellire in qualche modo i bilanci, fare sembrare che entrino soldi dove invece c’è solo aria. Anche l’acquisizione di un marchio in voga come Mandarina Duck, quello delle borsette, è solo un modo per truccare i conti.
L’inchiesta per bancarotta a carico dei Burani e dei loro manager era inevitabile dopo che stato dichiarato il fallimento della capofila, un società di diritto olandese: andata all’aria nonostante le promesse sempre più vaghe dei Burani agli operai di Cavriago, cui per mesi era stato dato per imminente l’arrivo di un’ondata di capitali freschi che esistevano solo nelle chiacchiere dei fondatori.
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