Nel libro V delle Historiae Tito Livio racconta, a tinte forti, linvasione dei Celti in Italia durante la quale numerose tribù scesero per la penisola ricongiungendosi ad altre già presenti. Perché in effetti i Celti, a lungo dominatori incontrastati dellEuropa continentale, si erano già da tempo insediati in Piemonte, come testimoniato dai rinvenimenti di Castelletto Ticino, Sesto Calende e Golasecca, a cavallo del Ticino.
Livio, e con lui gli altri storici classici, nel descrivere la calata caricarono le tinte di efferatezze e barbarie assortite. Oggi, al contrario, si eccede in correttezza politica, sottolineando un processo di infiltrazione lento, pacifico, con tanto di melting pot con Veneti ed Etruschi. «Probabilmente - soggiungono Venceslav Kruta e Valerio Massimo Manfredi - la verità sta nel mezzo». Sia come sia quelle popolazioni erano tuttaltro che unorda di distruttori senza arte né parte. Le fonti storiche, suffragate da rilievi archeologici, testimoniano la costruzione di città (la più famosa, una certa Mediolanum), le testimonianze scritte narrano sì di «popoli» separati e in guerra tra loro, ma accomunati da un qualche senso di appartenenza alla «nazione gallica», le sepolture, infine, ci dicono di gente ricca, dedita agli scambi e con una propria, peculiare cultura. Senza dimenticare una lingua che ancora oggi sopravvive in Cornovaglia, in Scozia, in Irlanda come nel Galles.
Chissà poi che sviluppo avrebbe avuto, se non avesse trovato sulla sua strada una città abbarbicata su sette colli che si stava dando un gran daffare per consolidare ed espandere la sua sfera di influenza. Il plurisecolare scontro con i Romani fu epocale. Corsi in soccorso dellalleata Chiusi nel 391, sottovalutarono lavversario. Dapprima, le legioni le presero di santa ragione, alla confluenza fra il Tevere e lAllia, dallesercito invasore capitanato da Brenno. Da qui in avanti la storia si mescola alla leggenda fino al vittorioso contrattacco, alla battaglia di Talamone che, nel 225, stroncò un nuovo tentativo di invasione e determinò la conquista romana della Padania e alle campagne di un certo Gaio Giulio Cesare che, secoli dopo, regolò definitivamente i conti con Vercingetorige ad Alesia.
Il volume I celti in Italia di Kruta e Manfredi ha soprattutto il merito di andare oltre le storielle edificanti con cui è stata tramandata, a partire da Livio, Diodoro, Polibio, Cesare, l'avventura nel Belpaese della gente dalle lunghe spade e dalle strane braghe. Non solo per labilità nellintrecciare tra loro le fonti storiche, dipanarne le discordanze, valutarle assieme alle testimonianze archeologiche ed epigrafiche. Ma per porgere al lettore aspetti meno noti del sempiterno avanti e indietro tra le Alpi, il Tevere, il Po.
I loro rapporti con Dionigi I di Siracusa e col rampollo Dionigi II, ad esempio, cui viene dedicato un interessante capitolo.
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