I Coldplay: non siamo i migliori I veri numeri uno sono gli U2

Esce «X&Y» terzo cd della band di Chris Martin: «La musica di Bono ci ha formato. Ora ci piacciono i System of a Down»

Paolo Giordano

nostro inviato a Parigi

Chris Martin, ma i suoi Coldplay qualche volta riescono ad alzare la voce, a protestare, insomma ad arrabbiarsi?
«Scusi?».
X&Y, il vostro ciddì appena uscito, gronda impegno sociale e nel libretto del disco non ci sono neanche i testi ma gli indirizzi di siti no global tipo www.maketradefair.com. Eppure siete sempre rilassati: non ci sono più i rockettari di una volta.
«Spesso non si capisce che le arrabbiature o le aggressioni verbali non portano necessariamente a raggiungere lo scopo. Guardate Bush. Tutta la montagna di critiche feroci che gli rivolgono sempre non fanno altro che renderlo più forte».
Insomma, siete contestatori di seconda generazione.
«Noi crediamo nelle nostre idee, nella campagna Fair Trade o nell’abolizione del debito del Terzo Mondo. Ma non serve gridare e d’altronde, parlando di ambiente, noi respiriamo la stessa aria di un panettiere o di Jacques Chirac. Anche Bob Geldof, quando parla del nuovo live aid che si terrà a luglio, mica se la prende con la Gran Bretagna perché spende più denaro per le armi che per i poveri. Descrive i suoi obiettivi e per quali motivi è giusto realizzarli, punto e basta».

Intanto sorride dei suoi sorrisi goduti. Chris Martin è il rocker della porta accanto, dove tra l’altro entra con la moglie Gwyneth Paltrow e Apple, che è la bambina con la taglia più alta tra i cacciatori di pubblicità: uno spot con lei, bella bellissima, vale già milioni di euro e neppure si deve spiegare il perché. La mamma ha vinto un Oscar e il papà sta per vincere il suo se è vero, come scrive il prestigioso Q, che al terzo ciddì «i Coldplay ora sono la miglior band del mondo». Diciamo che sono i primi terzisti da alta classifica: mescolano vena autorale e struttura rock, un po’ l’uno e un po’ l’altra con quei guizzi d’utopia da universitari fuoricorso. Insomma, sono perfetti per i mariti di Desperate housewives e per le ragazze di Sex & the City che, dopotutto, insieme sono la maggioranza di chi (ancora) compra dischi. Perciò lui sorride, ora, anche perché, come dice qui tra i velluti di un albergo in Place de la Concorde, «rispetto a prima abbiamo perso un bel po’ di chili e speso tanti soldi».
Per forza, ora siete il gruppo numero uno.
«Numero due, prego. Ma a noi non interessa molto la grandezza, McDonald’s è grande ma non per questo è anche buono. Se vuoi una classifica, allora gli U2 sono i più grandi».
Che vi piacciano molto si capisce anche dal vostro ciddì: Square One e Low sembrano arrivare da casa di Bono.
«Rubare l’ispirazione è una bella cosa. Anzi no, rubare non va bene: diciamo che siamo influenzati».
Al Guardian avete detto: «Noi siamo come Rocky Balboa, loro come Ivan Drago».
«Sono il gruppo che ascoltavamo anche da bambini. Fanno parte del nostro orizzonte come per i parigini l’Arco di Trionfo o la Tour Eiffel. Però è anche vero che sui giornali in una pagina si legge che “i Coldplay sono i nuovi U2”, in un’altra che “i Keane sono i nuovi Coldplay”. Insomma, non si capisce chi è il nuovo e chi il vecchio».
Ditelo voi.
«A noi piacciono i System of a Down e gli Arcade Fire».
Però avete composto una canzone anche per il vecchio Johnny Cash.


«È ’til kingdom come ma lui non ha fatto in tempo a registrarla. Così l’abbiamo inserita noi come brano fantasma in X&Y. È una sfida. D’altronde mica possiamo starcene seduti in poltrona a ingrassare dicendo: ma quanto siamo grandi».

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