Cronaca locale

I combattenti dell’Islam? "Pericolosi criminali"

Il capo dei sufi in Italia. La guida spirituale dei "frati musulmani" ammonisce: "Nelle nostre città spesso arriva il peggio di quei Paesi"

Pazzi o criminali. È una sentenza e una diagnosi, quella di Gabriele Mandel Khan sugli estremisti dell’Islam. Perché oltre ad essere guida e faro dei sufi in Italia, l’ultimo discendente degli Hetimandel (nobile famiglia turco-afghana) è psicoterapeuta. E artista, pittore, poeta incisore. E soprattutto indiscussa autorità morale dell’Islam più puro e autentico, quello che le confraternite sufi, i mistici dell’Islam, i «frati della mezza luna», conservano e tramandano da secoli. Fino a Milano, dove ogni mercoledì si incontrano - a decine - per le loro messe cantate. Il nome lo deve a D’Annunzio, fraterno amico del padre, che si oppose alla scelta di «Akbar» e si offrì come padrino al piccolo «Gabriellino» - come lo chiama nei biglietti che conserva gelosamente, insieme alle staffe del suo antenato Gengis Khan.
Imprigionato e torturato dai nazisti a San Vittore, partigiano della brigata «Algeria», si salvò per caso e fortuna dalla fucilazione. La sua vita - ha 83 anni - l’ha trascorsa come un’intensa galoppata di studi e avventura: lauree, saggi (dall’alfabeto giapponese a Van Gogh) viaggi incredibili, incontri memorabili (come quello con lo shadu che non lasciava ombra, in Tibet, e poi Dalì, Quasimodo), cattedre e riconoscimenti (fra cui l’Ambrogino d’oro). Conosce a memoria Corano, Divina Commedia e Tao Te Ching, ma - amico di Franco Battiato - ha scritto anche delle «canzonette» per Giuni Russo. Una sapienza che non snobba i gusti popolari, neanche la tv che campeggia nel suo salotto: guarda i telegiornali, ma non sopporta le «sozzate» da varietà («roba da viale Majno» dice da vecchio milanese), e ha in odio la volgarità che ha sepolto cultura e spiritualismo. Eppure riconosce che «c’è del buono nel mondo», anche se «per l’Islam non esiste l’idea del progresso, la vita va come deve andare».
I mistici dell’Islam coltivano arte, fede e civismo, e i musulmani ortodossi, quelli che hanno costruito sulla religione il loro potere politico, li hanno in odio. «Per questo - ricorda - ci hanno torturati, avvelenati, e uccisi, perché siamo contrari alla burocrazia della fede, alla fede parcellizzata». «Per questo ci perseguitano gli whaabiti, che proibiscono sufi e musica». Come i talebani? «Quelli poi non hanno niente a che vedere con l’Islam, sono solo dei criminali, dei mercenari al soldo dei cartelli della droga, sono la Camorra dell’Islam, la nostra Mafia, i Riina dell’Afghanistan».
«Per i sufi e per il Corano - ammonisce - criminale è chiunque uccide. Dodici volte il Corano dice che il suicida va all’inferno, senza che Dio lo guardi. I cosiddetti kamikaze sono due volte criminali». I jihadisti, i combattenti? «Il vero jihad significa sforzo, non guerra santa, traduzione orrenda (lo dice un traduttore principe del libro sacro, e che conosce dodici lingue, ndr) è sforzo per liberarsi della parte cattiva di ciascuno di noi, dalle tentazioni sataniche, dalle inclinazioni negative. In ognuno c’è bene e male, quelli non sono neanche fanatici sono pazzi, deviati psichici, che non distinguono bene e male». «I sufi sono stati i primi studiosi della mente - ricorda - altro che psicanalisi, e loro aprirono i primi manicomi, mille anni fa. Parlavano della necessità della terapia psichica, e vedevano nelle altre religioni la debolezza del Dio-papà».
Mandel partecipa alla vita della comunità islamica milanese. Il venerdì segue le preghiere in via Padova, la considera «aperta, non fanatica, accettabile». Ammette però che ci sono problemi: «In Italia ne vengono di tutti colori, non è detto che venga il meglio di quei Paesi. Poi molta gente non fa rumore, la gente perbene non si sente». Mandel Ha disegnato l’altare della moschea di Roma, e considera necessaria la moschea di Milano. Sulla preghiera in Duomo è comprensivo: «Finché si prega, non vedo offesa. Dio è uno, non distingue».

E se dei cristiani fossero entrati, senza invito, in una moschea? «Maometto non è stato il primo ad “invitarli”? Dio è con tutti coloro che molto lo pregano».

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