I COMPITI DELLE VACANZE DEI POLITICI

Non credo, no davvero, all’«allarme rosso» con cui Eugenio Scalfari ha annunciato, su Repubblica di ieri, che «l’Italia si sfascia». O, per essere più preciso, credo che l’allarme sia infondato, e che sia invece fondata la sua colorazione rossa. A parer mio l’Italia si appresta a trascorrere - scongiurati, tranne che su Repubblica, i catastrofismi che contrassegnarono la fase più acuta della crisi economica - un tranquillo periodo di ferie: senza squilli d’impetuosa ripresa ma anche senza ulteriori crolli. Ben venga, dopo tanti affanni, la pausa; molto lunga per i parlamentari, che saranno in vacanza fino a metà settembre, e che gioiranno senza dubbio per il riposo. Alcuni, suppongo, lo riterranno perfino meritato.
Profittando di questa disposizione d’animo oso rivolgere a deputati e senatori un modesto consiglio: ossia che riflettano, mentre indulgono agli svaghi agostani, sulle ragioni per cui sono pochissimo considerati da quei cittadini che pure dovrebbero sentirsi da loro rappresentati. Con variazioni anche sensibili ma non decisive, risulta da recenti sondaggi d’opinione che le Camere hanno la fiducia d’un italiano su quattro - lo stesso gradimento, o sgradimento, dei sindacati - e i partiti d’un italiano su otto. La Costituzione ha voluto fare del Parlamento l’asse portante del sistema istituzionale e politico, la pratica di palazzo ha voluto porre al centro di quello stesso sistema i partiti, ma il consenso popolare va ad altri: il Capo dello Stato o i carabinieri, o la polizia, o le associazioni di volontariato, o Berlusconi come leader carismatico. Per Montecitorio e Palazzo Madama solo qualche briciola di apprezzamento, e per lo più mugugni.
È vero che, stando alle dichiarazioni ufficiali, si registra una sospetta unanimità nel volere riforme: lo dicono tutti, meno parlamentari e due assemblee che non siano l’una la fotocopia dell’altra. Ma al dunque mi sembra che Camera e Senato facciano finta di niente, chinati giunco che passa la piena, se ne riparlerà chissà quando.
Ho la persuasione, pochissimo condivisa sui banchi parlamentari, che invece se ne debba riparlare con urgenza, e che debbano riparlarne, se vogliono recuperare un po’ di credibilità, proprio i presunti santuari della volontà popolare. Dove si sa come stanno le cose, ma forse è utile ricordarglielo. L’uomo della strada ritiene che deputati e senatori siano troppi, che siano troppo pagati, che abbiano troppi privilegi di viaggi gratuiti, pensioni e altro, che occupino troppi edifici, che pronuncino troppi discorsi inutili in dibattiti dei quali sono scontate le conclusioni. Può darsi che questa impostazione faccia torto a persone degne. Ed è facilmente prevedibile che essa sarà sdegnosamente catalogata, se qualcuno vorrà occuparsene, sotto la sprezzante voce «qualunquismo». Qualunquismo, forse.

Ma è anche la voce della tanto evocata maggioranza d’un Paese stufo di assistere ai battibecchi e agli egoismi della bottega politica e parlamentare. Sarebbe bello che Camera e Senato impugnassero la falce, con autocritica consapevolezza, senza aspettare che la impugnino altri. (Ma più probabilmente convinti che non l’impugnerà mai nessuno).

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