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I concittadini di Yara rispondono alle accuse: "Non siamo omertosi"

Luigi Ongis, direttore dell'Eco di Bergamo replica a chi dice che Brembate non ha collaborato alle indagini: "Il silenzio di questa gente è solo riservatezza"

I concittadini di Yara rispondono alle accuse: "Non siamo omertosi"

«Omertosi i cittadini di Brembate? Muovere questa accusa significa non capire come sono fatti i bergamaschi: sono diffidenti, preferiscono studiare prima la situazione e chi hanno di fronte. E, comunque, non amano parlare a vanvera. Tantomeno davanti a un microfono». Ettore Ongis, direttore dell’Eco di Bergamo, acuto osservatore della realtà del territorio in cui il suo giornale è diffuso, va dritto al cuore del problema, in un giallo in cui mille interrogativi, in questi tre mesi di surreale attesa mediatica, si affastellano.

Resta il fatto che l’eccessivo riserbo della gente di Brembate ha sempre lasciato perplessi.
«Solo perché da queste parti c’è un modo di vivere il dolore, la sofferenza, persino la fatica che è completamente differente da quello che c’è al Sud. Intendiamoci, io rispetto profondamente anche l’altro modo di vivere il dolore, quello urlato e apertamente manifestato del Meridione, ma il fatto che la nostra gente preferisca ritrarsi, chiudersi in se stessa, non può essere interpretato tout court come omertà. È una conclusione banale, sbagliata e dettata solo da pregiudizio. Da noi se qualcuno ha qualcosa da dire, se pensa di aver visto qualcosa di utile va alla polizia e non in televisione».

A questo proposito, non sembra che molti abbiano visto o sentito qualcosa.
«Mi creda, chi sostiene questo è in malafede. Mi risulta che gli investigatori abbiano ascoltato almeno cinquecento persone, gran parte delle quali si è presentata spontaneamente, nella convinzione di poter essere in qualche modo utile alle indagini».

Le telecamere tenute a distanza, i giornalisti tenuti a digiuno di notizie. Non le pare, direttore, che si sia esagerato?
«Quando Yara è sparita uscivamo, anche se in realtà non ne siamo ancora usciti, da una danza macabra sul corpo di Sarah Scazzi. Così Brembate ha reagito subito, non ha voluto permettere, giustamente, che Yara venisse trattata come Sarah.. Ha alzato uno scudo impenetrabile per proteggere la famiglia, il paese, se stessa. E ha chiesto rispetto, dignità, riserbo. Mi rendo conto che, oramai, sono sentimenti che stupiscono e spiazzano anche noi giornalisti. Ma sono o dovrebbero essere la normalità. Solo che la normalità oggi è considerata una cosa eccezionale».

Tutti buoni e rispettosi ma, allora, direttore, quell’orco che è tra noi?
«Se l’orco non è tra noi, è sicuramente molto vicino a noi. Io sono stato a vedere il luogo dove Yara è stata trovata, e posso affermare che chi l’ha lasciata laggiù, priva di vita, conosceva bene quel posto, sapeva come arrivarci, come muoversi, come andarsene. Perché c’è una discoteca, ci sono fabbriche. Questo significa, purtroppo, che, tra tanta gente che ha scelto il riserbo, c’è anche qualcuno, quantomeno uno, l’assassino di Yara, che ha colpevolmente taciuto e continua a tacere. E possiamo solo augurarci, a questo punto, che non ci siano altre persone a tacere con lui, a coprirlo».


Chi è, o meglio chi può essere, secondo lei, dunque quest’orco?

«Speriamo che sia Yara o, purtroppo, ciò che è rimasto di Yara a rivelarlo. Dando finalmente un’indicazione precisa agli investigatori. Ciò che sappiamo è che chi l’ha uccisa ha agito con una crudeltà inaudita: il sequestro, le coltellate, l’abbandono del cadavere in un campo. Come può aver vissuto in questi tre mesi il killer ? Come è possibile che, con la pressione che c’e stata, non abbia avuto un cedimento, un ripensamento? Il fatto che l’assassino non abbia mai sentito il bisogno di liberare la sua coscienza, almeno per aiutare a trovare quel corpo martoriato, significa che siamo davvero di fronte un orco, a una persona cattiva, sprofondata nella banalità del male».

Quanto alle altre polemiche cioè indagini e ricerche fallimentari.
«Io difendo i volontari. Cinquemila persone che in questi tre mesi, ogni giorno, con sole, neve, pioggia e freddo, hanno battuto cinquanta chilometri quadrati di territorio non meritano di venir incolpati di alcunché. È stata solo una fatalità non trovare il corpo di Yara. Quanto agli investigatori, dopo l’errore iniziale col precipitoso arresto del marocchino, mi pare che abbiano fatto tutto il possibile. Hanno scandagliato la vita di centinaia di persone, hanno controllato quindicimila utenze telefoniche, messo sotto torchio pregiudicati e sospetti vari. La verità vera è che, fin dall’inizio di questa tragica vicenda, chi ha ucciso Yara è stato solo terribilmente fortunato. Soltanto nei telefilm di Csi l’assassino viene preso il giorno dopo.

Forse dovremmo guardare meno telefilm».

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