Omar Sherif H. Rida
Aprile 2004, gennaio 2006: sono passati più di 20 mesi da quando Aziz Darif, Gabriel Rusu, Irma Tobias Perez e Taboada Zapata hanno fatto il loro ingresso in aula Giulio Cesare come «consiglieri comunali aggiunti», portavoce dei cittadini stranieri che vivono a Roma. Una carica che ha garantito loro il diritto di partecipare alle sedute del consiglio e ai lavori delle commissioni, ma non quello del voto, fondamentale per poter incidere fattivamente sulla realtà locale. Unesperienza che si è rivelata densa di ombre, come qualcuno di loro confessa con malcelata amarezza.
Il primo a raccontarsi è Aziz Darif, rappresentante per lAfrica, marocchino di Fez, classe 63, impiegato presso il Centro islamico culturale dItalia, fondatore e consigliere dellAssociazione comunità marocchine.
A oltre un anno dallinsediamento e a pochi mesi dalle comunali, per voi è già tempo di bilanci...
«Personalmente mi ritengo soddisfatto per la rapidità con cui abbiamo assimilato il funzionamento della macchina comunale. Una rapidità che probabilmente ha sorpreso e messo in crisi molti, come ha dimostrato levidente impreparazione ad accogliere una novità come quella da noi costituita. Per il resto non cè dubbio che ci aspettavamo e che vorremmo di più».
Parla del diritto di voto?
«Finora la nostra carica è stata puramente ornamentale. Senza il voto è difficile poter contare qualcosa. Le proposte di legge in materia giacciono in Parlamento perché manca la volontà politica di approvarle. Quindi, tornando a Roma, anche il sindaco Veltroni sa che non può andare in controtendenza. Si pensi alla freddezza con cui è stata accolta la battaglia per riconoscere ai consiglieri immigrati il diritto di votare e di essere eletti nei municipi: una novità che potrebbe essere introdotta con una semplice variazione dello statuto comunale».
Perché usa il termine «freddezza»?
«Circa quattro mesi fa noi consiglieri aggiunti avevamo preparato una delibera da presentare in consiglio, ma autorevoli esponenti della maggioranza ci hanno fatto capire che il clima non era favorevole e ci abbiamo rinunciato».
Quali sono gli altri campi in cui si è impegnato?
«Siamo entrati in Campidoglio con tre obiettivi: diritto di voto, problema delle abitazioni per gli immigrati e diritto di soggiorno. In tutti e tre i casi ci siamo trovati davanti a un muro».
Continuano ancora gli incontri con i vertici della Questura per accorciare i tempi di rinnovo del permesso di soggiorno?
«Li abbiamo interrotti da sei mesi, una volta accertata la loro inutilità. Le cose non sono cambiate neanche dopo che a luglio il Consiglio aveva approvato all'unanimità una nostra mozione che chiedeva di prorogare la validità del permesso fino al rinnovo (per cui ora si attende anche un anno e mezzo). Ogni giorno ci facciamo carico dei problemi di centinaia di persone e non possiamo illuderle con false promesse».
È vero che avete lavorato gratis per mesi?
«Sì. Solo da novembre una delibera comunale ci ha riconosciuto un rimborso spese di 50 euro a seduta, e degli arretrati non sappiamo ancora nulla. Ci sentiamo un po' abbandonati a noi stessi. Dividiamo due uffici in quattro svolgendo praticamente da soli tutte le mansioni».
Fin qui le ombre.
«Beh, sicuramente la manifestazione in Campidoglio all'indomani degli attentati di Londra, iniziative come "Intermundia", i rapporti amichevoli con gli altri consiglieri e poi alcuni progetti per il futuro: in primis quello di un forum delle associazioni musulmane romane che faccia da ponte culturale con la cittadinanza. Inoltre sta andando avanti il dialogo con l'assessorato per le Politiche scolastiche per l'istituzione di corsi di lingua araba nelle scuole».
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