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«I cristiani in Terrasanta stanno scomparendo»

L’allarme in un libro della giornalista Elisa Pinna. «Particolarmente grave la situazione a Betlemme, da dove negli ultimi cinque anni sono emigrati in seimila»

Andrea Tornielli

Nel 1948 i cristiani che vivevano a Gerusalemme erano 30mila. Oggi sono meno della metà, quando con una normale crescita demografica da allora avrebbero dovuto essere più di centomila. Ma i cristiani sono in diminuzione in tutta la Terrasanta: un secolo fa erano il 10 per cento della popolazione, oggi sono meno del 2 per cento: circa 130mila in Israele e 50mila nei Territori e a Gaza. È un quadro preoccupante quello che emerge dal libro Tramonto del cristianesimo in Palestina, un reportage della giornalista dell’Ansa Elisa Pinna (Edizioni Piemme, 234 pagine), che è stato presentato ieri a Roma.
Nel giro di pochi anni, spiega l’autrice, se la situazione attuale non dovesse mutare, i cristiani sarebbero costretti a fuggire in massa all’estero, interrompendo una presenza bimillenaria nei luoghi in cui è nato e ha vissuto Gesù di Nazareth. Il quadro che Elisa Pinna traccia sulla loro situazione è piuttosto sconfortante, perché questa minoranza è stretta fra le difficoltà dovute all’occupazione israeliana e la crescente islamizzazione della società. L’emigrazione, in questo scenario di guerra e povertà, appare spesso l’unica soluzione per vivere. Dal reportage attraverso la piccola ma variegata galassia cristiana, divisa in vari riti e appartanenze confessionali non sempre in buoni rapporti tra di loro, emerge con tutta evidenza che «la forza del passato non è più in grado di garantire il futuro».
Il volume racconta le piccole storie di vita quotidiana in cui le persone, le famiglie e le piccole comunità cercano di salvare la propria identità. Uno dei capitoli più interessanti del reportage è quello dedicato a Betlemme: «Forse in nessun luogo della Palestina si avverte - scrive la giornalista - come sia concreto il rischio che i cristiani di Terrasanta siano arrivati al crepuscolo della loro storia». Fino a poco tempo fa Betlemme e i due villaggi adiacenti di Beit Jala e Beit Sahour, subito a sud di Gerusalemme, formavano il cosiddetto «triangolo cristiano», un’enclave che per duemila anni aveva mantenuto, attraverso i rivolgimenti e i patimenti della regione, la propria identità religiosa. Nel 1948 la guerra arabo-israeliana rovesciò in quest’area una grande massa di rifugiati, per lo più di religioen islamica e per la prima volta i cristiani si trovarono in minoranza nella città natale di Gesù. Oggi a Betlemme, su una popolazione di 35mila abitanti, i cristiani sono poco più di 6.500, mentre 6.300 sono a Beit Jala e 7.000 a Beit Sahour. «L’emorragia continua - scrive Elisa Pinna -. Solo nel periodo dal 2000 a oggi, dal “triangolo” sono fuggiti almeno 5-6.000 cristiani. Il blocco israeliano, la crisi delle attività economiche, l’ombra del fondamentalismo islamico stanno cambiando in profondità il volto di Betlemme».


E se questa è la situazione nell’area «privilegiata» dei cristiani, è facile immaginare quale sia la situazione nelle altre zone.

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