«Devastante!», così ha definito la sentenza il padre di uno dei ragazzi condannati per le violenze in corso Buenos Aires. Per la verità, in questa vicenda, di devastazioni certe e concrete si sono viste quelle compiute quel giorno nella più animata strada di Milano: auto in fiamme, accenni di barricate, danni a negozi ed esercizi pubblici, l'immancabile assalto a Mc Donald's - firma autentica della violenza no global - famiglie con bambini in fuga, mezza città paralizzata per ore. Intendiamoci: un padre ha tutto il diritto di dolersi se suo figlio subisce una condanna (anche se, trattandosi di arresti domiciliari, la sconterà a casa). È comprensibile perfino la protesta contro la carcerazione preventiva (forse non c'erano prove da inquinare ma il pericolo di fuga era ragionevole temerlo). Fatto sta che prima di considerare «devastante» quella sentenza un genitore responsabile dovrebbe interrogarsi sull'educazione che ha impartito al proprio figlio «devastatore». Ma per capire certe reazioni emotive ammantate di politica ci basta la saggezza popolare napoletana: «Ogni scarrafone è bello a mamma soje».
Molto meno capiamo certe prese di posizione di sindacalisti e politici di sinistra, che si scagliano direttamente contro i giudici. Ma come, da Piero Fassino in giù non fate che ripetere ossessivamente che «le sentenze non si commentano» (e non è vero: in un Paese dove vige la libertà di giudizio e di espressione si commenta qualsiasi atto pubblico, sentenze della magistratura comprese) e ora ve la prendete con chi condanna - e manda a casa - i vostri ragazzi, violenti ma sempre coccolati e vezzeggiati? Dovete decidervi: i magistrati non possono aver ragione solo quando condannano gli avversari politici. La clemenza e le garanzie costituzionali non possono essere riservati solo agli imputati di sinistra.
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