Per i dossier illeciti di Telecom venerdì prossimo è il giorno del giudizio

Il giudice Mariolina Panasiti sta preparando la prima sentenza per l'affare che scosse la compagnia telefonica: sarà lei a stabilire se i vertici del gruppo sapevano quanto accadeva

Un piccolo ufficio fuori mano, in un ammezzato del Palazzo di giustizia: qui da giorni il giudice Mariolina Panasiti sta preparando la sentenza che pronuncerà dopodomani, venerdì 28 maggio, e che - qualunque ne sia il contenuto - segnerà un punto fermo nella complessa e spinosa vicenda dei dossier illegali e delle incursioni informatiche messi a punto dall'ufficio Security di Telecom, all'epoca in cui a guidare la struttura era l'ex carabiniere Giuliano Tavaroli e presidente dell'azienda era Marco Tronchetti Provera. Sarà la sentenza della Panasiti a sciogliere il nodo su cui, fin dall'esplodere dello scandalo, si sono affrontate tesi contrapposte. Da una parte la Procura di Milano e lo stesso Tronchetti, per i quali la struttura di Tavaroli era una scheggia impazzita che agiva senza rendere contro a nessuno, succhiando risorse all'azienda ma con obiettivi propri, grazie a rapporti privilegiati con il mondo dei servizi segreti. Dall'altra la tesi di Tavaroli e di altri imputati, tra cui l'esperto informatico Fabio Ghioni e l'investigatore privato Emanuele Cipriani, secondo i quali le operazioni «coperte» erano eseguite nell'esclusivo interesse dei vertici di Telecom e venivano commissionate dal manager di primo livello: compreso lo stesso Tronchetti.
Come si può intuire, tra le due versioni corre un abisso. Nel primo caso siamo di fronte ad una storia, tutto sommato banale, di infedeltà aziendale. Nel secondo si dovrebbe prendere atto che una delle più importanti aziende del paese ha messo in atto sistematicamente operazioni illegali per tutelare i propri interessi: come, per esempio, l'intrusione nei computer del «Corriere della sera», alla caccia delle fonti di un giornalista considerato troppo critico nei confronti del gruppo.
Nonostante le chiamate in causa - a volte esplicite - nei suoi confronti, Marco Tronchetti Provera non è mai stato iscritto nel registro degli indagati. La Procura nel corso delle indagini preliminari si è limitata a convocarlo come testimone, e a sottoporlo ad un interrogatorio non particolarmente incalzante. Si è dovuta attendere l'udienza preliminare, e la decisione del giudice Panasiti di riconvocare Tronchetti, perchè l'ex presidente di Telecom venisse torchiato fino in fondo. Tronchetti, al termine, si è detto convinto di avere convinto il giudice della sua correttezza. Ma solo venerdì si capirà se davvero è riuscito nell'intento. Alcuni screzi tra giudice e pubblici ministeri nel corso dell'udienza preliminare hanno fatto ritenere che la Panasiti non abbia trovato del tutto convincente la ricostruzione del caso Telecom da parte della Procura.
L'elemento decisivo, per capire quale convinzione si sia fatta il giudice, sarà la decisione che verrà presa su uno dei diversi reati contestati agli imputati: l'accusa di appropriazione indebita mossa a Giuliano Tavaroli ed Emanuele Cipriani, l'investigatore incaricato della stragrande maggioranza delle indagini «coperte». Tavaroli e Cipriani sono imputati di appropriazione ai danni di Telecom: significa che le ingenti risorse dedicate alla realizzazione dei dossier furono sottratte a Telecom senza autorizzazione, all'insaputa dei vertici. Se i due verranno condannati anche per questo reato, l'impianto della Procura ne uscirà sostanzialmente confermato e il vecchio board di Telecom potrà uscire a testa alta dalla vicenda (anche se la società dovrà, per responsabilità oggetiva, contribuire al risarcimento alle vittime dei dossieraggi).

Se invece cadesse l'accusa, vorrà dire che il giudice si è convinto che la verità è assai più complicata, e che la tesi di un vertice Telecom inconsapevole vittima di un piccolo gruppo di dipendenti infedeli non regge. E a quel punto per i vecchi manager dell'azienda potrebbero aprirsi prospettive imbarazzanti.

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