Antonio Signorini
da Roma
Il gioco del totonomine non si è fermato mai, nemmeno in questi ultimi giorni in cui la disputa tra Massimo D’Alema e Fausto Bertinotti aveva reso inutile qualsiasi illazione sul prossimo esecutivo. Ma ieri, con la rinuncia del presidente Ds alla guida dell’assemblea di Montecitorio, la macchina si è rimessa in moto macinando candidature e ridisegnando equilibri, quasi sempre a favore della Quercia.
Chiaramente, per il momento non c’è niente di ufficiale. Nessun contatto tra i partiti per piazzare la seconda fila di pedine. Solo esercizi di politica made in Italy, giochi di simulazione o poco più. Ma le poste in gioco sono importanti quanto, se non di più, di quella di Montecitorio. È il caso del ministero dell’Economia che sembrava già assegnato a Tommaso Padoa Schioppa. Un’ipotesi «seria e meditata», ma «non c’è nessun posto prefissato», aveva detto lo stesso Prodi prima che i giochi fossero fatti. Nessuno sembrava contendere al tecnico assoldato dal centrosinistra compiti come il controllo dei conti pubblici e la rinegoziazione del rientro del deficit con Bruxelles. Poi la vittoria di Bertinotti sul fronte Camera ha portato molti a ripensare anche a questa casella. Dopo il sacrificio di D’Alema - è il ragionamento degli insider - alla Quercia spettano due dicasteri di peso. Sempre che l’ex premier non decida di restare fuori dall’esecutivo per dedicarsi esclusivamente alla nascita del partito democratico, a lui andrebbe Farnesina. E a Fassino, fino a ieri indicato come ministro degli Esteri, potrebbe andare proprio all’Economia, un desiderio che avrebbe espresso lui stesso in tempi non sospetti.
Una scelta ancora poco probabile rispetto a quella Padoa Schioppa, che rimane la favorita. Ma che se si realizzasse avrebbe ripercussioni sugli altri ministeri economici, come le Attività produttive, rafforzate da nuove funzioni. Una poltrona che sembrava ritagliata su misura per il Ds Pierluigi Bersani, ma che - sempre se questo scenario si dovesse realizzare - potrebbe andare a qualcun altro, ad esempio il responsabile economico della Margherita Enrico Letta. A Bersani resterebbero le Infrastrutture, un tempo rivendicate dal leader Verde Alfonso Pecoraro Scanio.
I Ds rimangono in testa anche su altri ministeri intermedi. Il Welfare, come l’Economia, potrebbe essere spacchettato. E per il Lavoro sale la candidatura di Cesare Damiano, responsabile lavoro del Botteghino e autore del programma dell’Unione nella parte in cui prevede il «superamento» della legge Biagi. Una candidatura meno indigesta per Rifondazione comunista rispetto a quella di Tiziano Treu, autore della prima riforma del lavoro.
Difficile che il secondo dicastero di peso per i Ds diventi il Viminale per il quale rimane favorito il leader della Margherita Francesco Rutelli. Dl rischia, invece, di perdere la presidenza del Senato per Franco Marini. Per la guida della camera più incerta dal punto di vista dei numeri, la Casa delle libertà sta cercando di lanciare Giulio Andreotti.
Giochi fatti per Rifondazione comunista. Con la Camera e il sempre più probabile ministero della Giustizia per Giuliano Pisapia, il Prc ha fatto il pieno. Prodi dovrà invece risolvere la grana Clemente Mastella, che sta correndo per la Difesa incontrando l’opposizione di chi lo considera un ministero troppo grande per il suo Udeur. La Rosa nel Pugno, invece, ieri ha ribadito a Prodi la sua richiesta di due ministeri per Emma Bonino ed Enrico Boselli e, almeno, un sottosegretariato per Ugo Intini.
In quello che si annuncia come un governo dalla maggioranza traballante, c’è spazio anche per il Partito dei pensionati, il cui leader Carlo Fatuzzo ieri ha chiesto un ministero senza portafoglio sui suoi temi. «Siamo stati decisivi per la vittoria», ha ricordato Fatuzzo. Come dargli torto. L’Unione ha vinto per 24.755 voti e il partito dei Pensionati ne ha ottenuti quasi 334mila voti.
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