«I Ds mentono, il caso Unipol non è chiuso»

«Mi sarebbe piaciuto che gli alleati avessero levato una voce per difendermi»

Gianni Pennacchi

da Roma

Nasconde a stento l’amarezza per la presa di distanza dei leghisti e ancor più per la sortita di Casini, «in dodici anni che contro di me si fa di tutto» dice, gli sarebbe «piaciuto che gli alleati avessero levato una voce» per difenderlo. Però non s’arrende e anzi muove al contrattacco, il caso Unipol «non è chiuso e io ho detto la verità» afferma. Anzi, quella della scalata Unipol alla Bnl e degli «intrecci tra la sinistra e le coop» è una storia «che durerà a lungo». Dunque è guerra, niente retromarcia e no alla mano tesa da Fassino, l’invito a «cambiar registro» il segretario dei Ds dovrebbe rivolgerlo a se stesso «guardandosi allo specchio». E piuttosto, perché D’Alema e Prodi «non confermano» i loro incontri col presidente delle Generali come sveltamente ha fatto Veltroni seguito in serata da Rutelli, dopo la conferenza stampa del premier? «Cosa hanno da nascondere»?
È un premier deciso a non mollar la presa, quello che ieri sera s’è offerto a un’improvvisa conferenza stampa «per ribattere alle falsificazioni della sinistra» amplificate dalla grande stampa nazionale. Sbandiera una pagina interna (la 7 di ieri) dell’ostile Repubblica, che «smentendo platealmente se stessa e il suo articolo d’apertura di prima pagina, fornisce una ricostruzione dei fatti del tutto identica alla mia» vanta. E legge un paio di paginette con parole e aggettivi soppesati attentamente per ripetere la sola cosa, «sempre la stessa», che va ripetendo dalle prime battute di questa vicenda: «Non è vero che i Ds si sono limitati a fare il tifo, ma hanno giocato anche loro la partita in corso». Chi s’aspettava un passo indietro, anche nella Cdl, deve fare i conti con Silvio Berlusconi che invece avanza e torna a martellare: «Chi fa il tifo si limita ad applaudire o a fischiare e magari a strillare, ma non scende in campo con i giocatori: questo è il rilievo politico che io ho sempre fatto. Per tentare di annullare l’effetto di queste mie considerazioni i Ds hanno cambiato gioco e sono arrivati a sfidarmi invitandomi ad andare in Procura perché mi accusavano di dire cose false e strumentali. Li ho accontentati, e pensate che cosa avrebbero detto se io non avessi dato seguito al loro invito. In Procura ho ripetuto le stesse identiche cose».
La conclusione? «Io ho fatto il mio dovere, io ho detto la verità» rilancia Berlusconi ribadendo: «Gli incontri ci sono stati e nessuno ha potuto smentire. Io non ho mentito, loro invece hanno mentito, perché sono intervenuti direttamente nel gioco Unipol-Generali con il fine evidente di aumentare il loro potere finanziario, e perché hanno affermato pubblicamente di non averlo fatto. Perché l’onorevole D’Alema, l’onorevole Rutelli, il signor Prodi non confermano come ha fatto Veltroni, che ciascuno di loro ha incontrato separatamente il presidente Bernheim? Cosa hanno da nascondere? E mi domanderei: dove è finito Prodi? Non è lui il leader della sinistra?». In discussione non c’è ovviamente «la rilevanza penale» di questi fatti, che compete ad altri poteri, ma certamente «il giudizio politico» sul comportamento della sinistra «che sta alzando una cortina di fumo per coprire la verità e ingannare gli italiani»; e in discussione, c’è anche «l’intreccio della sinistra con il sistema delle cooperative». L’obiettivo di Berlusconi, nonostante la freddezza e la ritrosia degli alleati? Insistere perché «venga a galla la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità. Il caso non è chiuso, come qualcuno ha sperato che fosse. Il caso non è chiuso».
Con tale e tanta determinazione, da rispondere con sicurezza e tranquillità anche alla domanda su quanto va confessando Fiorani ai magistrati: «Fiorani ha fatto come tutti gli altri, son venuti tutti a informare il presidente del Consiglio. E tutti hanno avuto la stessa identica risposta, che si può leggere anche su Repubblica, e che avevo già dato il 22 giugno 2005. Qualcuno mi ha domandato se fossi felice che Unipol acquistasse la maggioranza di Bnl. Ho risposto: se avete delle azioni consegnatele a chi vi offre di più; questo è il mercato, il nostro è un governo liberale e quindi neutrale, sì al libero mercato».
Più intrigante l’interrogativo sul perché dell’affollarsi alla porta di Berhneim non solo degli sponsor Unipol ma anche dei contrari come Rutelli e Veltroni. Berlusconi ha risposto precisando di non aver «mai detto che ci sono state pressioni in un senso o nell’altro», ma certamente non si chiede un incontro con chi detiene un pacchetto di azioni importante e decisivo «per parlare delle vacanze o di sport», oppure «per parlare dei problemi italiani» come ora dice Veltroni. Probabilmente alcuni leader premevano su Berhneim perché vendesse e altri per non farlo vendere? «Ha risposto lei, non l’ho detto io» ha sorriso il premier spiegando che il codice francese definisce queste ipotesi traffique d’influence, e gli americani «la chiamerebbero moral suasion che si può esercitare anche soltanto attraverso un incontro».
Secca la risposta alle reazioni di Maroni e Casini: «Sono dodici anni che contro di me si fa di tutto e avviene di tutto. Mi sarebbe piaciuto che i miei alleati avessero levato una volta la voce per difendermi dagli attacchi che si sono sempre rivolti contro di me».

Ancor più secca la risposta a Fassino: «Avrebbe dovuto dire quelle cose guardandosi allo specchio». E spietata, irridente, a Della Valle e De Benedetti: «Parliamo di cose serie... Se si vuol fare i portavoce politici, la cosa migliore è fare politica, non i burattinai dal di fuori».

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