I Ds scalavano Bnl, ma a processo va il Giornale

Paolo Berlusconi rinviato a giudizio per l’intercettazione tra l’ex ad Unipol Consorte e l’allora segretario della Quercia Fassino. Per i pm di Milano il nastro, pubblicato dal nostro quotidiano, sarebbe finito all’editore in cambio di denaro. Di cui non c’è traccia

I Ds scalavano Bnl, ma a processo va il Giornale

Tutto secondo copione. Paolo Berlusconi, editore del Giornale e fratello dell’imputato preferito dei pm di Milano, Silvio Berlusconi, deve essere processato. I giudici meneghini ne hanno disposto il rinvio a giudizio nell’ambito dell’inchiesta sul passaggio di mano di un’intercettazione sulla (tentata) scalata di Unipol a Bnl, l’ormai arci-famosa telefonata del 2005 tra Piero Fassino e Giovanni Consorte in cui l’allora leader dei Ds dice a quello che all’epoca era il numero uno di Unipol: «Abbiamo una banca?». Il processo prenderà il via il prossimo 4 ottobre.

Cosa ha fatto Paolo Berlusconi? Ha pubblicato quella conversazione, sul giornale di via Negri, il 31 dicembre del 2005. Il che, tradotto nel linguaggio accusatorio della procura, diventa, a carico dell’editore del Giornale, ricettazione, concorso in rivelazione del segreto d’ufficio (la conversazione all’epoca non era agli atti) e millantato credito. Il motivo? Un giro di dazioni di denaro (neanche una prova che sia mai arrivato a Paolo Berlusconi) raccontato da uno dei protagonisti della vicenda. Lo stesso Gup deciderà l’8 giugno sulla richiesta di patteggiamento degli altri personaggi coinvolti in questa storia: Roberto Raffaelli, il titolare della Rcs, l’azienda che aveva fornito l’attrezzatura per le intercettazioni, e l’imprenditore Eugenio Petessi. Il quarto imputato al centro della vicenda, l’imprenditore Fabrizio Favata, ha chiesto il rito abbreviato.

Amareggiato Paolo Berlusconi, forse più ancora di quando il suo nome è stato sbattuto sui giornali per gli sms di Sara Tommasi, quando era stato proprio lui, unico tra i tanti, a cercare di aiutare la showgirl, indicandole uno psicologo: «Prendo atto con estremo rammarico che il Gup di Milano ha disposto il mio rinvio a giudizio. La serena lettura delle carte processuali poteva e doveva già in questa sede condurre alla mia assoluzione, essendo palese che tutto sia imperniato su dichiarazioni e illazioni destituite di ogni logica e fondamento, esternate da chi, abusando della mia buona fede e disponibilità d’animo, ha di fatto perpetrato i reati a me addebitati». In effetti l’impianto accusatorio si basa tutto sulle dichiarazioni di Favata, un curriculum giudiziario di tutto rispetto con condanne sparse per ricettazione, emissioni di assegni a vuoto, concorso in bancarotta fraudolenta, e su quello che lo stesso Favata ha detto a Raffaelli e Petessi, e cioè che le ingenti somme di denaro (guarda caso proprio mentre versava in pesanti difficoltà economiche) che chiedeva loro per sostenere il cosiddetto progetto Romania di Rcs avevano come destinatario finale proprio Berlusconi.

A smentire Favata sono proprio Raffaelli e Petessi, come ricostruisce la memoria difensiva presentata al Gup dai difensori di Berlusconi, gli avvocati Piero Longo e Fabrizio Cecconi. Ecco cosa dichiara Raffaelli, interrogato il 7 luglio scorso: «Favata mi disse che anche sugli aspetti economici relativamente agli affari che io avrei fatto con Paolo Berlusconi dovevo trattare con lui». E ancora il 23 giugno 2010: «...ho anche sospettato che forse Favata non aveva pagato alcunché a Paolo Berlusconi, avendo anche appreso da Favata che i pagamenti erano a suo dire avvenuti in contanti, senza emissione di alcuna fattura da parte di Paolo Berlusconi, contrariamente a quanto Favata mi aveva originariamente prospettato e che io credevo fosse effettivamente avvenuto». Una conferma di quanto dichiarato da Petessi, il 20 gennaio 2010: «Ho avuto l’impressione che in realtà Favata non consegnasse affatto a Paolo Berlusconi il denaro in questione, anche perché avendo io in più occasioni chiesto di farmi entrare con lui per conoscere Paolo Berlusconi, Favata si è sempre rifiutato».

Insomma, sarebbe stato Favata a millantare la natura dei suoi rapporti (lui qualche volta frequentava sì gli uffici di via Negri, ma per offrire la focaccia di Recco, come possono ricordare le tre signore addette alla segreteria) e la destinazione dei soldi che chiedeva.

Gli altri sarebbero state sue vittime. In primo luogo Paolo Berlusconi, che annuncia querele contro «coloro che hanno infangato il mio nome e quello della mia famiglia, indicandomi come autore di reati di cui invece sono stato vittima inconsapevole».

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