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I dubbi della Cei: Boffo faccia un passo indietro

Si incrina il fronte dei vescovi finora schierato compatto a difesa di Dino Boffo. «Il direttore di Avvenire valuti se non è il caso di dimettersi», dice monsignor Domenico Mogavero, presule di Mazara del Vallo, già sottosegretario della Conferenza episcopale italiana, ora presidente del Consiglio Cei per gli affari giuridici. La sua è una voce conosciuta, che si leva spesso a commentare le vicende del Paese: ha consigliato le dimissioni anche al premier quando è scoppiata la polemica sulla sua vita privata, e ha protestato contro il giro di vite anticlandestini. Un pastore che non si può definire berlusconiano.
Mogavero conferma di aver ricevuto anch’egli «poco prima di Pasqua», come tutti i vescovi italiani, la lettera con le copie del decreto penale a carico di Boffo e dell’informativa. Gettò tutto nel cestino, così come ieri ha rivelato di aver fatto anche l’arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi. «Erano documenti anonimi che presentavano incongruenze», spiega Mogavero. Il testo «indirizzato a più persone» puzzava di «avvertimento che io, da siciliano, definirei di stampo mafioso in particolare nei confronti dei due cardinali citati», Ruini e lo stesso Tettamanzi. «Boffo è un capro espiatorio e l’attacco che ha subito è inqualificabile e spregiudicato».
Fin qui, Mogavero è in linea con le posizioni della Cei. Tuttavia, aggiunge, «il direttore di Avvenire deve valutare se il polverone che si è scatenato in questi giorni può nuocere al bene della Chiesa e del giornale, e dunque potrebbe decidere di fare un passo indietro. Sarebbe una sua decisione per un fine superiore». Non è una richiesta esplicita di dimissioni, puntualizza il vescovo. Ma «se Boffo accettasse anche di passare per un disgraziato pur di non nuocere alla causa del giornale, farebbe la cosa giusta». In ogni caso, «ogni decisione spetta all’interessato e a chi gli ha conferito il mandato».
Boffo, che oggi andrà al contrattacco difendendosi su tre paginate del suo giornale, continua a definire il dossier pubblicato dal Giornale una «emerita patacca». Ma il decreto penale di condanna è autentico. E anche il «Riscontro a richiesta di informativa di sua eccellenza» (questa l’intestazione della nota aggiuntiva), benché redatto dopo il patteggiamento e pur essendo estraneo al fascicolo custodito nell’archivio della procura di Terni, non è una polpetta avvelenata. Il sito internet Dagospia ha pubblicato ieri la testimonianza di «un monsignore ben addentro alle liturgie della Santa Sede», secondo il quale «l’informativa è la classica minuta preparata per la Segreteria di Stato, destinatari il Papa e Bertone». Sull’originale, dice la fonte anonima, «in controluce si legge in filigrana la scritta Officie Sanctae Sedis e lo stemma pontificio».
Ora lo scontro si è spostato proprio su questa informativa. Francesco Rutelli, presidente del Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti, ha incontrato ieri Gianni De Gennaro, capo degli 007 italiani. Antonio Di Pietro ha presentato un esposto in procura per sapere «chi è l’eccellenza che lo ha ordinato, e chi lo ha eseguito»: «È sbagliato prendersela con Feltri in quanto ha dato la notizia di un atto giudiziario esistente. È necessario invece prendersela con il mandante e l’esecutore dell’attività di dossieraggio».
Le carte erano finite in mano anche a Franco Abruzzo, a lungo presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia. «Erano mail che parlavano di Boffo e di una vicenda di Terni - ricorda Abruzzo -. Erano anonime, non potevo occuparmene io. Credo di averle girate all’Ordine veneto, al quale è iscritto il trevigiano Boffo, e all’Ordine nazionale a Roma.

Ignoro che fine abbiano fatto».

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