I dubbi Due anni di domande e ancora nessuna risposta certa

Un’inchiesta che naviga nel mare melmoso dei dubbi, degli indizi senza prove, delle domande che non trovano risposte certe. Due anni dopo, il giallo di Garlasco rischia di rimanere tale, ovvero un rebus aperto. A ogni soluzione, forse però mai a una vera verità.
Albero Stasi, ora, sembrerebbe poter contare su un «alibi informatico» di ferro. Ma quanti dubbi restano? Da una parte e dall’altra, quella dell’accusa e quella della difesa.
Andiamo per ordine. A cominciare dal sangue. Com’è possibile che il fidanzato di Chiara scoprendo il cadavere sulle scale della taverna non si sia sporcato le scarpe di sangue? Ce n’era ovunque, sul pavimento, sui gradini, un test riprodotto con computer e immagini tridimensionali dimostrerebbe che le possibilità di non macchiarsi le suole sarebbero infinitesimali. Alberto sostiene che quella mattina, dopo aver telefonato alla fidanzata e poi suonato al citofono senza ottener risposta, scavalcò la recinzione della villetta per andare a controllare. Da qualche parte i Ris avrebbero dovuto trovare le impronte della «scalata», eppure niente.
L’accusa punta anche sulla strana telefonata fatta dal ragazzo al 118 il giorno dell’omicidio. «Aveva una voce fredda, distaccata, come se la scena tremenda alla quale stava assistendo non lo riguardasse. Parlava della sua fidanzata, riversa in un lago di sangue, quasi si trattasse di un’estranea. Di una sconosciuta». Insomma - dicono gli investigatori -, una farsa.
E poi la strana sparizione di un paio di scarpe, nuove di zecca, costose, quelle che Stasi aveva qualche settimana prima comprato in Inghilterra mentre era in vacanza con Chiara. Dove sono finite?
Tanti sospetti, nessuna certezza. Come quelle macchioline, impercettibili, trovate sui pedali della bicicletta di Alberto che secondo i superesperti dei Ris apparterrebbero a Chiara. Sangue dicono, ma il test di laboratorio non darebbe la certezza «matematica».
Non è finita. Sul flacone del sapone liquido, nel bagno della vittima, ecco le impronte del fidanzato, del sospettato. Secondo l’accusa il killer prima di fuggire si sarebbe lavato utilizzando il lavandino, ci sono anche tracce del sangue della vittima. Anche questa tuttavia resta un’ipotesi: Alberto in quella casa era ospite abituale, normale trovare sue tracce. La difesa, invece, replica. A uccidere la ragazza sarebbero state due persone, lo «dimostrano» i segni di trascinamento del cadavere.

Anche sull’orario della morte pm e avvocati non sono d’accordo. Gli esami autoptici risultano approssimativi. Un noir dove si gioca sui minuti, su un computer acceso, sulle telefonate. E senza uno straccio di testimone. Né un vero movente.

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