I «duri» fanno quadrato sulle pensioni

da Roma

«Caro Romano, così non va». La letteraccia inviata dai quattro ministri della sinistra al premier è stata preparata ieri mattina presto, in un summit riservato al quale hanno preso parte tutti gli esponenti di governo di Rifondazione, Verdi, Pdci e Sinistra democratica.
La riunione era stata organizzata già da qualche giorno, dopo «l’incidente» con Tommaso Padoa-Schioppa che martedì ha mandato su tutte le furie sindacati e partiti della sinistra. Quando il ministero dell’Economia ha fatto trapelare le cifre («finte oltretutto», insorgono dal Prc) sui costi di abolizione del famoso «scalone» pensionistico. Un’iniziativa che sia la sinistra che i sindacati hanno giudicato «una vera e propria provocazione». Tanto quanto l’affondo di giovedì del ministro sui conti che peggiorano e che rendono impraticabile l’azzeramento della riforma Maroni, reclamata da Rifondazione. E a quelle di Padoa-Schioppa si sono aggiunte le dichiarazioni del leader di Confindustria, Luca di Montezemolo, un vero «schiaffo in faccia» in piena trattativa. A quel punto, concordare una risposta dura era diventato inevitabile. Anche per dare, con l’occasione, un segnale di unità di quella composita area della maggioranza che conta solo quattro ministri ma ha alle spalle una base di 150 parlamentari, e vuole far valere il suo peso nella discussione del Dpef, e dimostrare di aver portato a casa qualcosa.
Un’area che, anche nella trattativa sulle pensioni, mostra di avere diverse anime al suo interno: ieri mattina, nella discussione, sono emerse posizioni differenti sui possibili sbocchi: Fabio Mussi (Sd) e Alessandro Bianchi (Pdci) guardano alla Cgil di Epifani e sostengono che «se il sindacato firma l’accordo con il governo, il problema pensioni per noi è risolto». Mentre Paolo Cento e Alfonso Pecoraro Scanio spiegavano che bisogna guardare anche alle «aree di disagio» che i sindacati non rappresentano, e portare a casa risultati per giovani e precari. E Rifondazione non può rinunciare ai suoi legami con la sinistra della Cgil, a cominciare dalla Fiom: «È chiaro che Prodi e Padoa-Schioppa vogliono mimetizzare lo scalone con gli scalini, e Epifani è ormai pronto a cedere - spiegano nel Prc - Ma Rinaldini (segretario Fiom, ndr) non ci sta, e se non ci sta lui non ci stiamo neanche noi». La linea Maginot dei «duri» del sindacato è quella delle esenzioni: bisogna allargare la platea dei lavoratori esentati dagli «scalini» a «tutti i turnisti e al lavoro operaio», vale a dire a più della metà dei potenziali pensionati. Con effetti disastrosi sulle compatibilità economiche, ma positivi «sul nostro elettorato, che all’80 per cento rientrerebbe nelle esenzioni», spiegano i bertinottiani.
Insomma, la riunione di ieri serviva a cercare una non facilissima linea comune della sinistra, per evitare di arrivare in ordine sparso al redde rationem. E ha partorito un atto d’accusa contro Padoa-Schioppa che ha però l’obiettivo essenziale di tirare per la giacca Prodi. «Tps fa la sua parte, quella del poliziotto cattivo. Noi, in realtà, abbiamo reso più facile al premier il ruolo di mediatore, per accelerare l’accordo», assicura uno dei partecipanti. E a giudicare dalla risposta data a stretto giro di posta da Palazzo Chigi, la sollecitazione è stata raccolta. Da Bruxelles, dove il premier partecipava al Consiglio Europeo, Silvio Sircana ribadisce infatti la «piena fiducia» di Prodi nei suoi ministri, a cominciare da Tps, ma assicura anche che «le decisioni verranno prese dall’intero Consiglio dei ministri». Promettendo così quella «collegialità» che la lettera dei quattro reclamava.

E infatti la prima risposta del governo viene giudicata «positiva» dalla sinistra, che si prepara con questo viatico alla riunione «decisiva» di lunedì, quando Padoa-Schioppa incontrerà i capigruppo di maggioranza per la stesura del Dpef.

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