I finiani spiazzati dal premier: costretti a votare sì

Per ora in Futuro e libertà prevalgono le colombe ma Fini avverte: se il Cavaliere mi attacca si torna ai falchi

I finiani spiazzati dal premier: costretti a votare sì

Roma - A questo punto è tutta una questione di numeri: se nel voto di fiducia il governo dimostrerà di essere autosufficiente (ossia sopra la soglia dei 316 anche senza i finiani), «per noi sarà un’umiliazione», ammette a mezza bocca un esponente di Fli. Ma se i 34 deputati di Futuro e Libertà (sono 35 con Gianfranco Fini, ma il presidente della Camera per prassi non vota) si dimostreranno indispensabili per mantenere in vita il governo, «usciremo da questa prova rafforzati, e Berlusconi non potrà continuare a negarci il riconoscimento politico come terza componente della maggioranza».

«Gira voce che Berlusconi dia per certo che hanno i numeri anche senza di noi», comunicava un preoccupatissimo Fabio Granata ai colleghi di gruppo ieri pomeriggio, nel cortile di Montecitorio. E subito le dichiarazioni dei finiani, che fino a quel momento davano per scontato il sì alla fiducia, sono diventate più prudenti: «Il nostro voto - annuncia il capogruppo Bocchino - sarà deciso dall’assemblea di gruppo dopo aver ascoltato l’intervento del premier, ed è evidente che dipenderà da toni e contenuti delle sue parole».

In verità, lo stesso premier, molto «ragionevole e tranquillo» come dice chi da Fli ha tenuto i contatti, ha rassicurato le cosiddette «colombe» finiane e gli esponenti di governo di Fli: «Metto la fiducia così vi facilito il compito», ha spiegato un membro finiano del governo, «e farò un discorso alto, pacato e nel segno della coesione di governo». Nessuna «provocazione», insomma, nessuna «sparata sulla giustizia che ci potrebbe rendere più indigesto il boccone», come paventava più d’uno. Un ruolo importante nel tentativo di spegnere i fuochi di guerra lo ha avuto, manco a dirlo, Gianni Letta, che ha messo la sordina alle voci più bellicose, come quella (attribuita prima del vertice Pdl al ministro La Russa) che sfidava i membri del governo di Fli a dimettersi se il gruppo non avesse votato compatto con la maggioranza.

In un certo senso, ieri pomeriggio, la decisione di Berlusconi di chiedere un voto di fiducia dopo il suo intervento di oggi era stata accolta dai finiani come un sollievo: senza quel vincolo, il gruppo di Fli rischiava di dividersi «addirittura in tre», come confidava una delle “colombe”: nella riunione convocata ieri a pranzo da Gianfranco Fini, c’era chi ipotizzava il sì, chi il no e chi l’astensione. Tanto che il presidente della Camera aveva richiamato con durezza i suoi: «Basta divisioni e comunicati di falchi contro colombe e viceversa: dobbiamo dare un’immagine di coesione».

«Non possiamo non votare la fiducia al governo», ha riconosciuto lo stesso Fini, spiazzando i più accesi dei suoi, che il giorno prima gli avevano sentito dire: «O c’è la firma di Bocchino sulla risoluzione o non la votiamo». Il presidente della Camera però manda anche un avvertimento: se «riprenderanno gli attacchi contro di me» o se il premier tenterà «nuovi strappi sulla giustizia», il giorno dopo la fiducia la guerra in Parlamento ricomincerà, e allora la linea dei falchi alla Bocchino e Granata «diventerà la linea di tutto il gruppo», e le dimissioni di Fini da presidente della Camera potrebbero diventare il «gesto forte», come dice qualcuno tra i suoi, che segna la rottura del vincolo di maggioranza.

Certo, e Fini lo sa, a quel punto il gruppo perderebbe diversi pezzi, si dice fino a una decina e si fa il nome di chi già scalpita per tornare da Berlusconi (Patarino, Angeli, Polidori). «Ma almeno si farebbe chiarezza e potremo andare avanti».

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