I fratelli d’Italia... che tifano per l’indipendenza

Agguerriti e documentati, si aggrappano alla storia per rivendicare l’autonomia geografica e linguistica

da Milano
«Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò». Sì, ma Mameli ha trovato occupato. Almeno stando al proliferare di movimenti che in questo Paese di bello ci trovano poco e che di questo Paese cercano di disfarsi come di un peso.
Indipendentisti, regionalisti, autonomisti e secessionisti per cui la Lega è solo una Dc truccata. Nostalgici di regni e Comuni, quando al di là del fiume già abitava lo straniero. Decine di formazioni politico-culturali che combattono il centralismo in nome dell’autodeterminazione o di maggiore libertà. Partiti radicati come la Südtiroler Volkspartei, il Partito Sardo d’Azione o la Liga Veneta Repubblica. Ma anche soggetti giovani, dal Nord Autonomo alle Valli Unite.
In principio furono le Regioni a Statuto speciale. La Valle d’Aosta dove si bruciavano tricolori durante la festa degli alpini, dove si parla patois e si vota per Union Valdôtaine, Federation Autonomiste, Vallee d’Aoste Vive e Renoveau Valdotain. L’Alto Adige dove si va dagli Amisc dla Ladinia Unida alla Union fur Südtirol, da Die Freiheitlichen al Süd-Tiroler Freiheit di Eva Klotz. Quella che faceva affiggere cartelli con scritto «Südtirol ist nicht italien». Più Vienna che Roma. Così come più Lubiana che Trieste è il movimento Slovenska Skupnost della comunità slovena in Friuli. Un partito che se la vede con Fuarce Friul e l’anima bifronte della regione: il Fronte Giuliano e il Fronte Friulano, con tanto di crociato nel simbolo.
Nelle isole, poi, le istanze anti-italiane sono ataviche. In Trinacria si va dal Fronte Nazionale Siciliano (fondato nel 1964) alla Nuova Sicilia, fino al Movimento per l’Indipendenza della Sicilia di Musumeci. Ma è la Sardegna la zona a maggior intensità secessionista. Motivi geografici e soprattutto linguistici, come ricorda Erricu Madau, portavoce di A Manca pro s’Indipendentzia (simbolo falce, pugnale nuragico e benda dei mori): «La storia di liberazione sarda è stata negata, come nei Paesi Baschi». Il movimento di sinistra indipendentista propone un’isola libera e socialista e guarda alla Corsica e alla Palestina, tanto da finire nel mirino del «sistema repressivo italiano», che sta processando alcuni affiliati per associazione sovversiva con finalità di terrorismo. Nella loro ottica è lotta di liberazione, diffusione della coscienza anti-centralista. La stessa per cui combattono Indipendèntzia Repùbrica de Sardigna, il Movimento Sardista e Sardigna Natzione Indipendentzia.
Ma l’autonomismo non sempre è estremo. Che dire per esempio del Movimento Autonomista Valsesiano, guidato dall’elettricista Marco Giabardo, che ha come idolo Frà Dolcino (un eretico novarese del Trecento)? «La Valsesia era libera fino al 1848 e combattè con gli austriaci, non è Piemonte. E poi il termine “Italia” è come la svastica: un simbolo in origine positivo ma che ormai è portatore di negatività».
Il principio è uno: solidarietà ai popoli ma si combatte la propria battaglia da soli. Anche in regioni centrali: si va dal Movimento Autonomista Toscano a Legittima Difesa: movimento di liberazione umbro, fino al Masl, gli autonomisti del Sud Lazio. Certo, poi gli obiettivi sono diversi. Per esempio le macroregioni storiche non hanno mai smesso di affascinare: il Parti de la Nation Occitana vorrebbe unire le genti da Andorra a Torino, Alpazur e l’Uniùn de li tradisiun brigasche quelle dalle Alpi Marittime a San Remo e alla Provenza. Mentre Domà Nunch propugna l’econazionalismo della «Madre Terra Insubria» contro «gli anacronistici confini statali».
Ironici, documentati e agguerriti sono infine gli esponenti del Movimento Indipendentista Ligure, guidato dal professor Franco Bampi. Quelli che hanno chiesto ai Savoia 70 miliardi di risarcimento: «La Liguria era indipendente al momento del Congresso di Vienna e nessuno ha firmato l’annessione plebiscitaria al Regno di Vittorio Emanuele II. Per cui siamo militarmente occupati dagli italiani fin dall’Ottocento». Cosa chiedono? «Il riconoscimento dell’indipendenza, così da creare poi una Repubblica Mediterranea da Nizza a Piacenza, con capitale Genova, lingua ufficiale il dialetto e autonomia fiscale sui porti.

Abbiamo pure già due inni nuovi. Perché “Ma se ghe pensu” è bella, ma è troppo triste». E se sullo scoglio di Malu Entu un 65enne può autofondare una repubblica e a Seborga (Imperia) c’è il Principe, mica vorremo metterci a piangere, no?

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