Lettere. Telefonate. Interviste scarmigliate alle tv. Il popolo della mamme ribolle e la sua sentenza lha già emessa: Marcelletti deve tornare ai suoi bambini. Subito. Il reparto dellOspedale Civico è off limits, la stampa non può entrare e allora sono loro, i papà e le madri, a scendere allaperto e a raccontare un Marcelletti lontanissimo da quello tratteggiato nellordinanza di custodia. «Mia figlia Valeria è cardiopatica e aspetta da molto tempo il trapianto - ripete concitata Mariella Luvarà - mia figlia rischia di morire da un giorno allaltro, mia figlia è stata sempre curata da Marcelletti. Adesso mi chiedo: chi la opererà?»
Qualcuno prova a spostare il ragionamento sul versante scivoloso dei soldi, delle presunte tangenti, degli oboli versati dalle famiglie per ricevere un trattamento migliore. La donna, vestita di nero, sinalbera: «Mia figlia potrebbe benissimo stare a casa, invece siamo qui dal 7 aprile perché il professor Marcelletti le ha dato la possibilità di restare qui ed essere curata nel migliore dei modi. Va scarcerato subito, non ci ha mai chiesto una lira, neanche per le visite. Tutte queste accuse sono davvero incredibili».
È la tesi degli avvocati difensori: «Certo - afferma Roberto Tricoli - cè unintercettazione in cui Marcelletti dice: "Oggi non abbiamo fatto due fatture", ma il testo va letto per intero e le due fatture vanno inserite dentro lattività frenetica del reparto. Dieci anni fa eravamo al medioevo, oggi qui a Palermo cè un centro di livello mondiale».
E secondo i genitori che affidano al bisturi di Marcelletti il futuro dei loro ragazzi, a Palermo la tecnica va a braccetto con una grande sensibilità. «Il professore - conferma Michela Basile, mamma di un bambino cardiopatico di 8 anni - è lunico ad avere un contatto umano con noi genitori, abbiamo girato tanti ospedali ma nessuno come lui ci aveva trattato in questo modo così comprensivo. Ci manca».
Possibile? Come si concilia il Marcelletti dal piglio arrogante che chiede soldi a padri disperati con luomo che si china sul dolore delle famiglie e lo fa suo?
Una donna, in un angolo, piange. Si chiama Rita Patania e arriva dalla provincia di Catania. La figlia è sotto i ferri, solo che le mani non sono quelle leggendarie di Marcelletti: «Quando abbiamo saputo dellarresto, io e mio marito volevamo portare via la nostra piccola, ma ci hanno detto che potevamo lasciarla perché ad operarla sarebbe stata la stessa équipe del professore». Speranza e timore convivono: «Vorrei tanto che fosse lui ad operarla. Sono molto preoccupata».
Sotto quelle stanze sintersecano tante vie crucis. Sguardi sofferenti. Parole impaurite. Lui, dal carcere, saluta il suo popolo alla sua maniera: «Spero di tornare al più presto ad operare.
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