Il centrodestra avrebbe sostituito al teatrino della politica la politica del teatrino. Così Sergio Romano in un editoriale del Corriere della Sera. Non vi sarebbero proposte, solo esibizioni spettacolari di Silvio Berlusconi. Ma stanno così i fatti? Il centrodestra (nei suoi partiti fondamentali) ha chiesto alla coalizione avversaria di riflettere sul suo deficit di base politica e parlamentare, ha proposto un governo istituzionale che tenga conto della situazione, intervenendo sui temi urgenti e riformando il sistema elettorale in modo condiviso. Lo stato della maggioranza, con divisioni radicali e compromessi che hanno come unica base il potere partitocratico e partitinocratico, giustifica la proposta del centrodestra. Tutto tranne che gesti da teatrino.
Nel frattempo con una gigantesca manifestazione sempre l'asse di gran lunga maggioritario del centrodestra ha raccolto la protesta di settori prevalenti della società contro la politica tassaiola e statalista della Finanziaria 2007. Si è aperto un serio dialogo con i ceti medi individuati dal prodismo come nemici: senza chiudere a provvedimenti liberalizzatori da attuare con il dialogo e non con la prepotenza. Nessuna traccia di teatrino anche in questo caso. La politica iri-putiniana di Romano Prodi su Telecom Italia e Autostrade è contrastata con fermezza. La denuncia dei soprusi su Mediaset trova sostegno da personalità come Antonio Catricalà, presidente dell'Antitrust. Non si vedono teatrini. Nelle forme possibili, poi, si sviluppa nel centrodestra la riflessione su un partito unitario legato al Partito popolare europeo: passaggio di grande rilevanza su cui la stampa cosiddetta indipendente glissa perché preferisce appoggiare forze minori, persino l'Italia di mezzo di Marco Follini. Poco teatrino anche in questo caso: anche se va registrata una sorta di subalternità psicologica del centrodestra, incapace di valorizzare quello su cui ha lavorato e lavora.
Da Bruxelles vengono i riconoscimenti alla riforma delle pensioni di Roberto Maroni. La legge Biagi ha sostenuto l'occupazione in una fase di stagnazione. La politica fiscale di Giulio Tremonti ha portato ai risultati mirabolanti oggi evidenti. Letizia Moratti e Pietro Lunardi svettano come giganti rispetto ai successori Giuseppe Fioroni (lo smontatore di riforme) e Antonio Di Pietro, pasticciatore di autostrade preso per le orecchie dall'Eurocommissione. Ma dei fatti e degli impegni dell'asse di gran lunga maggioritario del centrodestra non c'è traccia nelle riflessioni per esempio del Corriere della Sera.
Lo stile berlusconiano è senza dubbio inusuale. A mio avviso, alla fine, è particolarmente utile per far riflettere i cittadini su come la politica non sia tutto nella vita, come i comportamenti individuali non debbano esserle subalterni, come la politica vada lasciata fuori dagli spazi che non le appartengono. L'originalità berlusconiana può produrre un effetto di distrazione. Non credo che questo valga, però, per un quotidiano come il Corriere dove la capacità di analisi della direzione è acutissima.
È più probabile che la volontà di oscurare gli aspetti di qualità dell'azione di una parte rilevante della politica italiana, nasca dai giochi di potere in cui si è infilato il quotidiano di via Solferino, trasformatosi in una sorta di Beirut dove le truppe di questo o di quel socio si scambiano dalle varie pagine raffiche di mitra. È questo il clima in cui si denuncia la politica del teatrino che sostituirebbe il teatrino della politica. La realtà - mi pare - è che al Corriere della Sera stia subentrando la sera del Corriere.
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