I giovani italiani? Fanno fortuna con le idee

Italiani, popolo di imprenditori o di nullafacenti? C’è una contraddizione che stride nell’ultimo rapporto Istat sul nostro Paese, due primati europei ma di segno decisamente opposto. Da una parte, una cifra decisamente preoccupante: un giovane su cinque, tra i 15 e i 29 anni, non studia e non lavora. Sono i Neet («Not in Education, Employment or Training»), una sigla inventata per nascondere una realtà che fa paura, come si usa per le malattie: e qui i contagiati sono oltre due milioni, la quota più elevata a livello europeo.
Molti di loro, probabilmente, lavoricchiano in nero, alimentando quel 17% circa di Prodotto interno lordo fatto di economia sommersa: il che nulla toglie alla gravità del fenomeno, semmai l’aumenta.
Ma nel rapporto «Noi Italia» non c’è solo questo: c’è anche il ritratto di un Paese che non ha dimenticato la sua vocazione imprenditoriale. C’è un’Italia che cresce, tanto da superare di quasi tre volte la media europea: ed è quella del lavoro indipendente. Un Paese dove ci sono 66 imprese ogni mille abitanti, e il tasso di imprenditorialità - cioè il rapporto tra numero di lavoratori indipendenti e totale dei lavoratori delle imprese – è pari al 31,3 per cento. Sono valori tra i più alti d’Europa, sostenuti da un solido tessuto di piccole imprese - mediamente 4 addetti per azienda -, da sempre lo «zoccolo duro» del made in Italy.
Ed è qui, tra le imprese artigiane, che ritroviamo i giovani: nel 2009, 4.637 piccoli imprenditori under 40 si sono aggiunti alle nuove leve dell’artigianato italiano portando a 615.239 i giovani «capitani» d’impresa. Una leadership, ancora una volta, europea, confermata dal peso degli imprenditori under 40 sul totale degli occupati della stessa classe di età, che in Italia è del 18,5%, quasi doppia rispetto al 10,3% della media degli altri Paesi Ue.
Tutti i neo imprenditori hanno un diploma, molti una laurea, e quasi nessuno di loro - due su cento - considera la propria una scelta di ripiego, motivata solo dalla volontà di sfuggire alla carenza di posti fissi.
Non a caso, se molti fra loro proseguono una tradizione di famiglia, altrettanti si sono invece inventati un’attività: lo dimostra il rapporto Unioncamere, secondo cui nei primi undici mesi del 2010 sono nate 79mila nuove imprese. Un segnale importante, considerando che arriva appena dopo quel 2009, universalmente considerato l’anno più difficile per l’economia mondiale. Indicazioni positive vengono in particolare dal Sud, che non solo tiene il passo del Nord, ma in alcuni casi lo supera: vedi la Calabria, dove la percentuale di under 40 sul totale di imprenditori è del 34,5%, ben 3,8 punti percentuali sopra la media nazionale, e subito dietro troviamo Campania, Puglia e Sicilia.
Certo, aprire un’impresa, nel nostro Paese, troppo spesso è davvero un’impresa, e non è un gioco di parole. Soprattutto per un giovane, che difficilmente dispone delle garanzie richieste per ottenere credito.

Molto è stato fatto, in questo senso, dal governo, dalle associazioni di categoria, e anche dalle banche: ma molto resta ancora da fare. Anche e soprattutto a livello culturale, a partire dalle scuole, dove spesso il lavoro indipendente è una variabile non considerata. Ma è una strada che vale la pena percorrere.

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