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I giudici turchi: "Erdogan fuorilegge"

La procura generale chiede alla Corte costituzionale di sciogliere il partito del premier per attentato alla laicità

da Istanbul

La magistratura turca non ci sta. Uno dei maggiori rappresentanti dell'ordinamento giudiziario, la Yargitay, ossia la Procura generale, ha aperto un fascicolo per fare chiudere l'Akp, il Partito islamico moderato al governo, di orientamento islamico-moderato. La motivazione, per chi conosce bene la storia turca, è di quelle che fanno tremare. Abdurrahman Yacinkaya, Procuratore generale, ha sollevato dei dubbi sulla laicità del partito di Recep Tayyip Erdogan. Una condizione necessaria e sufficiente per chi, come la magistratura, si ritiene il custode inflessibile dello Stato fondato da Mustafa Kemal Atatürk. La procura chiede anche che il premier Erdogan, il presidente Gül e 69 dirigenti del partito siano sospesi per cinque anni dall’attività politica.

Adesso a decidere sarà la Anayasa Mahkemesi, la Corte costituzionale. Ma il messaggio per Erdogan è forte. Il premier sa fin troppo bene che cosa succede in questi casi, perché due partiti in cui ha militato in precedenza, il Fazilet e il Refah, sono stati dichiarati incostituzionali e sciolti perché contrari alla costituzione.

Nel Paese molti sperano che i tempi siano cambiati e che il popolo turco non debba assistere ancora una volta a un intervento a gamba tesa, vuoi della magistratura, vuoi dei militari, nella vita civile del Paese. Ma stavolta, nonostante quasi il 47% dei consensi conseguiti alle scorse elezioni, il premier Erdogan ha tirato troppo la corda.

Anche se nella richiesta di chiusura la parola türban non viene minimamente menzionata, è lecito pensare che la nuova legge sul veo islamico, votata a larga maggioranza il 9 febbraio scorso, e che permette alle studentesse di entrare velate in università, abbia pesato in maniera determinante sulla scelta della Yargitay. Due mesi fa Abdurrahman Yacinkaya aveva messo in guardia filo-islamici e nazionalisti, firmatari della bozza, dicendo che andava contro le istanze dello Stato laico e democratico e creava divisione all'interno del Paese. Il premier Erdogan aveva risposto dicendo che sarebbe andato avanti per la sua strada.
Il Paese è spaccato e se da una parte centinaia di migliaia di studentesse chiedono di poter entrare velate in ateneo, dicendo che si tratta di una loro scelta personale e che non bisogna limitarle in quello che ritengono un loro diritto, la Turchia laica, quella a cui Erdogan non piace e a tratti fa paura, dice no, scende in piazza e a volte reagisce anche con la forza.
Sono stati molti nelle scorse settimane i rettori che, nonostante una legge approvata dal parlamento e firmata dal presidente della Repubblica Abdullah Gül, filo-islamico come il premier Erdogan, hanno impedito alle studentesse di entrare velate in università.

La Corte costituzionale deve già decidere se le legge sul velo può entrare in vigore o meno, in grazia del ricorso fatto dall'opposizione due settimane fa. E adesso deve anche stabilire se il partito al governo, che ha preso 16 milioni di voti a luglio, ha ragione di esistere.

Hasim Kiliç, presidente della Suprema corte, ha fama di essere vicino al governo, ma potrebbe non bastare.

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