I giudici Usa: pieni di errori i dossier del Pool su Mediaset

La Procura di Los Angeles ai magistrati italiani: «Troppe omissioni, non possiamo aiutarvi». Partite da Milano ventitré richieste di collaborazione

Stefano Zurlo

da Milano

Non s’intendono. Anzi, si mandano garbatamente a quel paese. È scontro fra i magistrati americani e quelli italiani e, tanto per cambiare, la querelle riguarda carte e documenti relativi ad una delle indagini aperte su Silvio Berlusconi e dintorni: quella sulla compravendita dei diritti televisivi da parte di Mediaset. Troppi errori nella vostra lettera, non possiamo aiutarvi come vorremmo, fanno sapere gli americani. In questo modo - replicano gli italiani - venite meno al vostro dovere di collaborazione internazionale. Va da sé, uno scambio di cortesie. Fra Europa e America
Il dialogo viene a galla in un giorno cruciale: oggi si apre l’udienza preliminare in cui il gip Fabio Paparella deciderà se rinviare a giudizio il premier, il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri e altre tredici persone accusate di appropriazione indebita, frode fiscale e falso in bilancio.
Proprio l’appuntamento in tribunale ha obbligato la magistratura a mettere a disposizione delle parti tutti i documenti relativi all’indagine. E così è saltato fuori anche il carteggio fra i pm Fabio De Pasquale e Alfredo Robledo e i loro colleghi Debra Wong Yang, Daniel Godman e James Aquilina di Los Angeles.
«Ci dispiace - scrivono i magistrati americani - che il nostro carico di lavoro non ci consenta di rispondere nei dettagli agli errori e alle omissioni contenuti nella vostra lettera del 26 settembre». «Ci dispiace - replicano da Milano il 26 ottobre - che il vostro carico di lavoro vi impedisca di adempiere pienamente al vostro dovere di collaborazione internazionale. Vi preghiamo di voler prendere posizione per iscritto sulle richieste più volte reiterate».
Il 26 settembre, Robledo e De Pasquale avevano chiesto aiuto oltreoceano; tecnicamente avevano inoltrato una rogatoria perché intenzionati ad ascoltare alcuni testimoni e a studiare alcuni documenti.
La collaborazione si inceppa quasi subito. I californiani fanno sapere di essere disponibili a convocare James Gianopulos e Marion Edward, dirigenti della Fox. Ai pm di rito ambrosiano questo non basta. In cima alla lista dei loro obiettivi c’è Jonathan Dolgen, ex numero uno della Paramount. Dolgen a suo tempo ha licenziato un dirigente, Bruce Gordon e i magistrati milanesi sono convinti che Gordon fosse in rapporto con Silvio Belusconi e Frank Agrama, l’uomo d’affari egiziano ritenuto dall’accusa socio occulto del Cavaliere. Naturalmente, i pm vorrebbero ricostruire tutto questo reticolo di relazioni, ma Dolgen non viene chiamato dagli americani. Perché? In tutto i pm di Milano contano ventitré mancate risposte ad altrettanti quesiti riguardanti carte e deposizioni. Inoltre, i pm non hanno avuto la documentazione bancaria riguardante Agrama e hanno inutilmente chiesto che fosse perquisita la sua società, la Harmony Gold, ritenuta dall’accusa un crocevia di fondi neri per centinaia di milioni di dollari. Come mai tanto ostracismo?
Da Los Angeles arriva un’altra verità: gli americani non sono in grado di rispondere, così dicono, «agli errori e alle omissioni» del testo inviato il 26 settembre. Nessun tentativo di sabotare l’indagine e nemmeno una guerriglia strisciante.

Molto più banalmente i magistrati californiani contestano una rogatoria approssimativa e generica, pasticciata, per dirla tutta: «Non intendiamo continuare a rifiutare di rispondere alle vostre richieste, ribadiamo la volontà di collaborare ma nei termini che noi abbiamo precedentemente indicato».

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