I guru si spaccano: vedono tre Italie diverse

«Silvio forever», Berlusconi per sempre. Una speranza per mezza Italia, un incubo per l’altra metà, e un titolo azzeccato per un libro e relativo film trasmesso l’altra sera da La7. Il meglio, tuttavia, è venuto al termine: un dibattito sul Cavaliere senza sconti ma nemmeno urla o spargimenti di sangue. Tre «guru» tenuti a bada da Enrico Mentana. Tre Italie. Quelli che il premier «è il liberatore di un Paese ingessato» (Giuliano Ferrara). Quelli che non si capacitano di «come un Paese del G7 abbia potuto sopportare per 16 anni un personaggio simile» (Eugenio Scalfari, nella foto). Quelli che sospendono il giudizio: «Le grandi storie si vedono dal finale, e questo non è ancora scritto. Anche se non penso sarà lieto» (Paolo Mieli).
Il racconto di Berlusconi è il racconto degli ultimi vent’anni di storia. Qual è il suo segreto? Come spiegarne la comparsa e la permanenza in politica: con i soldi di Publitalia, il cinismo dell’establishment, la capacità di superare Tangentopoli, la pochezza delle alternative, o cos’altro? È un merito di Mentana aver posto queste domande senza soffermarsi troppo su intercettazioni e bunga bunga. Merito riconosciuto anche dai telespettatori: quasi 2,5 milioni gli ascolti e share vicino all’11%.
Il fondatore di Repubblica resta ancorato a una sprezzante visione manichea, buoni (quelli come lui) e cattivi: una schiera variopinta, in cui le masse volgari di elettori di centrodestra si mescolano a personaggi come Martinazzoli, colpevole del mancato accordo con Occhetto nel 1994, o i «don Abbondio di Cernobbio», cioè i poteri forti dell’economia che non presero partito. Berlusconi ha raccolto «la parte fangosa della Dc e il versante craxiano del Psi» riproponendo «il seguito del sistema corrotto e colluso degli ultimi 15 anni della prima repubblica». Scalfari spera in un nuovo Dino Grandi, «il fascistone che raccolse nel Gran Consiglio una schiacciante maggioranza per mettere fuori Mussolini». Sembra l’identikit di Pisanu. Al ribaltone interno dovrebbe seguire la caduta del governo e la nascita di «una maggioranza transitoria che riscriva la legge elettorale e completi il risanamento appena accennato».
Più sfumata la posizione di Mieli, che pure non perdona a Berlusconi «un modo ostentato di ingannare e raccontare panzane» come nel caso Ruby. Il grande merito del Cavaliere è aver creato il centrodestra in Italia: «In tutto il mondo ci sono una destra e una sinistra. Caduto il Muro di Berlino, gli elettori si sono sentiti liberati dagli schieramenti della guerra fredda e si sono collocati dove credevano. Il problema è che Berlusconi ha governato facendo quasi solo i fatti suoi».
Ferrara ha riconosciuto che il Pdl è una «destra anomala» e non ha nascosto errori e difetti del premier, «un giocoliere galante che tende a buttarsi in pasticci clamorosi. Il quale però ha sdoganato la Lega come forza di governo e la destra di Fini. Ha creato una classe dirigente.

Ha dato volto e cuore a una parte d’Italia che non scomparirà quando lui uscirà di scena. Non ridiventeremo una caserma del pensiero unico laico e di sinistra. Resterà la possibilità di scegliere tra due idee e due scale di valori diverse senza pensare che gli altri siano i cattivi».

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