E la barbarie avanza. E questa tivù commerciale ha rimbecillito il Paese. E ormai nessuno legge più. E invece di comprare libri, vanno al ristorante.
Risuona così, sostanzialmente, la geremiade, costante e irritante come il gocciolamento d’un rubinetto sfilettato, che si distilla sul pavimento del suolo culturale italiano ogni due per tre. Eppure Roberto Calasso, l’editore principe, con l’Adelphi, di questo strano Paese - e autore, tra l’altro de Le nozze di Cadmo e Armonia (1988) e del recente La Folie Baudelaire - ribalta completamente tale falsa credenza, una delle svariate in circolo, mentre lo Stivale tenta di dare un calcio alla fuffa, in specie quella addensata sul Kulturmarket. Partendo da un «caso caldo», ovvero dallo straordinario successo, di critica e di pubblico, del romanzo Vita e destino - ripubblicato l’anno scorso da Adelphi e ancora molto venduto in libreria -, il capolavoro di Vasilij Grossman, collocabile, per lo scrittore e saggista George Steiner, tra i libri «che eclissano quasi tutti i romanzi che oggi, in Occidente, vengono presi sul serio». Se poi leghiamo la vicenda personale di Grossman, uno dei numerosi intellettuali sovietici che rischiò la morte negli anni di Stalin, al fatto che le lenti dell’ideologia tuttora sfocano l’immagine culturale dell’Italia, c’è di che riflettere. «Era tempo, per ciascuno di noi, di sbarazzarsi dello schiavo che è in noi», questa la frase-guida di Grossman, al quale due agenti del KGB, nel 1961, confiscarono non solo il manoscritto di Vita e destino, ma anche le carte carbone, le minute, i nastri della macchina per scrivere.
Lei condivide l’opinione diffusa per cui gli italiani sarebbero cattivi lettori, anzi non-lettori direttamente, rispetto ad altri popoli europei?
«Non mi pare che sia così. I lettori italiani sono definiti ciechi da chi è più cieco di loro. Gli agenti letterari stranieri, per esempio, lo sanno e anche al Salone del Libro di Francoforte cercano subito gli editori italiani. I quali saranno anche talvolta incoscienti, però sono curiosi e reagiscono immediatamente alle novità. Quelli che affermano: “Gli italiani non leggono più” spesso si troverebbero in imbarazzo se dovessero parlare di un libro che hanno appena letto».
Come mai, allora, persiste questa vulgata sulla pretesa cecità dei lettori italiani?
«Di fatto, i veri numeri e i veri meccanismi della vita editoriale non sono così noti. In Italia, come in tutto il resto del mondo, si vendono anche i libri delle collane rosa del genere “Harmony”, ma non solamente quelli. Anzi, l’Italia è un Paese di grande editoria, uno dei Paesi più importanti anche sotto il profilo del mercato. Per esempio, la Spagna ha un potenziale di lettori molto più vasto, dato che lo spagnolo è lingua ben più diffusa dell’italiano. Però, fino ad oggi, era piuttosto l’editoria spagnola che seguiva l’editoria italiana. Gli italiani sono autolesionisti e poca gente conosce le reali cifre del mondo librario».
I lettori italiani figurano, così, tra i più avvertiti al mondo: può fare qualche esempio?
«Pensando alla mia esperienza diretta, posso dire che in questi ultimi anni abbiamo pubblicato vari libri che hanno avuto, in Italia, un successo molto maggiore che negli Stati Uniti o in Inghilterra, loro Paesi d’origine: per esempio La versione di Barney di Mordecai Richler, che è diventato un libro immensamente popolare. O anche Follia di Patrick McGrath o Quella sera dorata di Peter Cameron. E Zia Mame è solo l’esempio più recente. Allora di che lamentarsi? L’unico lamento giusto è quello di certi librai indipendenti e coraggiosi, che hanno vita difficile, rispetto ad altri. Però il lamento sulla quantità di copie vendute, quanto ai libri, è sbagliato. Ci sono casi clamorosi a smentirlo. Come quello, appunto, di Vita e destino di Vasilij Grossman: un libro arduo, giunto alla quinta ristampa in pochi mesi che sta toccando le 40.000 copie e continua a vendersi regolarmente, pur essendo un romanzo di grossa mole, dove non è semplice orientarsi».
Che cosa hanno apprezzato, secondo lei, i lettori del romanzo grossmaniano, avversato dall’ideologo di Stalin, Michail Suslov, che equiparava il libro, ambientato a Stalingrado durante l’assedio nazista, «alle bombe atomiche che i nemici dell’Urss si apprestano a lanciare contro di noi»?
«Il soffio epico, innanzitutto. Qualità molto rara nella letteratura del Novecento. Non c’è un altro romanzo che sia riuscito a raccontare ciò che avveniva intorno allo scontro decisivo di Stalingrado con altrettanta lucidità e con sguardo equanime sia rispetto alla Russia sovietica sia rispetto alla Germania nazista. Grossman è capace di mostrare l’orrore sovietico dall’interno, dopo aver dedicato alcuni scritti a celebrare le glorie del bolscevismo. E tanto più convincente suona così la sua voce».
I tempi sono maturi, perché si comprendano gli orrori di ogni
«Per quanto riguarda la Russia, è stato Grossman stesso, in due pagine memorabili di Vita e destino, a indicare quale era il più efficace contravveleno per il sovietismo: leggere e capire Cechov».
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